venerdì 20 maggio 2011

Federali Sera-20 maggio 2011. I giovani italiani sono tra i più restii a recarsi all'estero per studio, lavoro e formazione: solo il 38% dei giovani di età tra i 15 i 35 anni è disposto a trasferirsi all'estero e comunque per un periodo di tempo limitato. Il 33% dei giovani ha dichiarato di essere impossibilitato a farlo per mancanza di mezzi economici, mentre il 25% - soprattutto donne - per impegni legati alla famiglia. Tra coloro che hanno potuto recarsi all'estero, il 65% ha dovuto fare ricorso a finanziamenti privati o intaccare i propri risparmi.----Il 70% dei giovani ritiene che il fenomeno mafia interessa ogni aspetto della società ed è inestirpabile.----Treviso. Zanzotto: aiutiamo i profughi, ma senza entusiasmo.

Forza Oltrepadani, che i terroni da soli non combinano un tubo:
Gheddafi non è Hitler
Svizzera. Tremonti bacchettato dalla Città di Lugano
Svizzera. La Lega ticinese: blocchiamo le dogane
Svizzera. Come può difendersi la nostra piazza finanziaria

Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza:
Lavoro: solo 38 giovani italiani su 100 sono disposti ad andare all'estero
Sondaggio Cei: per i giovani la mafia non sarà mai sconfitta
Matrimoni, calo record. Le scelte dei giovani specchio dei tempi

Padani trevigiani, molto simpatici:
Treviso. Zanzotto: aiutiamo i profughi, ma senza entusiasmo
Treviso. Maxi frode fiscale per 200 milioni di euro
Treviso. I profughi sono 370. Lega contro Zaia: qui mai


Gheddafi non è Hitler
Il dittatore ha modernizzato la Libia
di Piero Gheddo, missionario del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere)
La guerra in Libia diventa sempre più incomprensibile anche agli italiani e ai popoli occidentali, perché non tiene conto di tre fattori. Ecco in breve:

1) La Libia non è la Tunisia né l'Egitto, che hanno uno stato unitario e una robusta classe intellettuale e media.

Si legga «Gheddafi» di Angelo Del Boca, studioso serio e profondo (Laterza 2011), per capire come la Libia è divisa fin dal tempo dell'Impero ottomano in due regioni, la Tripolitania e la Cirenaica, e basata sulle tribù, sui clan familiari e le confraternite islamiche. Nella guerra civile libica, l'Occidente che si schiera apertamente con una delle due parti, invece di tentare di avviarle al dialogo e ad un governo condiviso, sta affondando il Paese in una interminabile sequela di guerriglie, vendette, terrorismi, lotte tribali.

2) Gheddafi è un dittatore e questa parola dice tutto. Però nel mondo islamico credo che nessun altro come lui stava avviando il suo popolo al mondo moderno. Dagli anni Novanta ad oggi ha usato le immense risorse del petrolio per fare scuole, ospedali, università, dispensari medici nei villaggi, strade lastricate anche nel deserto, case popolari a bassissimo prezzo per tutti; ha fatto molto per la liberazione delle donne, mandando le bambine a scuola e le ragazze all'università (all'inizio il mondo universitario non le voleva!), varando leggi favorevoli alla donna nel matrimonio, abolendo nei villaggi le alte mura che delimitavano il cortile in cui stavano le donne, ecc. Ha tirato su l'acqua da 800-1000 metri nel deserto, portandola in Tripolitania e in Cirenaica con due canali sotterranei (di 800-900 chilometri) in cilindri di cemento (alti più d'un uomo). Oggi in Libia c'è acqua corrente per tutti. Potrei continuare. Gheddafi è un dittatore e per reprimere la rivolta ha usato mezzi che usano in situazioni simili in Siria e in Yemen. Giusto fermarlo, ma presentarlo all'Occidente come un dittatore sanguinario paragonabile a Hitler e volerlo ad ogni costo eliminare, significa suscitare altro odio non contro un uomo, ma contro tutti coloro che sono dalla sua parte.

3) Gheddafi non ha dato la libertà politica e di stampa, è vero. Ma ha iniziato ad educare il popolo libico controllando le moschee, le scuole coraniche, gli imam e le istituzioni islamiche, che in molti altri Paesi islamici (ad esempio in Indonesia, visitata di recente) sfuggono totalmente al potere statale, diffondono l'ideologia anti-occidentale e venerano «i martiri dell'islam», cioè i kamikaze terroristi che conosciamo. In Libia assolutamente non è così. A Tripoli c'è un comitato di saggi dell'islam che prepara l'istruzione religiosa del venerdì e la diffonde con molto anticipo in tutte le moschee della Libia. L'imam locale deve leggere quel testo. Se toglie o aggiunge qualcosa, a dirigere quella moschea viene nominato un altro.

Non solo. Nel 1986 Gheddafi ha scritto a Giovanni Paolo II chiedendo di mandargli suore infermiere per i suoi ospedali. Il Papa ne ha mandate un centinaio, anche italiane ma specialmente indiane e filippine. Oggi in Libia ci sono un'ottantina di suore e 10mila infermiere soprattutto filippine, oltre a molti medici cattolici stranieri. Il vescovo Martinelli mi diceva: «Queste donne cattoliche, competenti, gentili, che trattano gli ammalati in modo umano, stanno cambiando la mentalità del popolo riguardo al cristianesimo». E questo me lo diceva in base a molti elogi sentiti da musulmani su come i cristiani formano le loro donne. La Libia finora era uno dei pochi Paesi islamici in cui i cristiani (ci sono anche migliaia di copti egiziani) sono quasi totalmente liberi, eccetto naturalmente di convertire i libici al cristianesimo. A chi interessa questa guerra?

Svizzera. Tremonti bacchettato dalla Città di Lugano
Il Municipio di Lugano bacchetta il ministro dell’economia italiano Giulio Tremonti. Ma non soltanto lui. Lo fa sulla scorta delle dichiarazioni “anti-Svizzera” e “anti-Lugano” rilasciate ieri da Tremonti durante l’incontro dei ministri dell’economia e delle finanze degli Stati membri dell’Europa (cfr. GdP di ieri). «Il Municipio – si legge in una nota – denuncia ed è stupito dalla debolezza e dall’inadeguatezza della reazione del Consiglio federale e del consigliere Johann Schneider-Ammann rispetto alla portata delle dichiarazioni di Giulio Tremonti». Per l’Esecutivo la reazione avrebbe dovuto essere più ferma e stigmatizza apertamente e pubblicamente «l’attacco frontale e fortemente scorretto portato dal ministro italiano alla Città di Lugano e alla sua immagine come a quella della sua rinomata Piazza finanziaria, la terza per importanza in Svizzera. Un’affermazione più volte ripetuta nell’intervento del ministro dal quale si evince un sentimento di avversione verso Lugano e la Svizzera, che travisa in modo evidente la realtà delle cose e dei fatti. Soprattutto, così facendo, si vuole negare l’impegno che ai diversi livelli istituzionali si sta profondendo per risolvere in modo serio e costruttivo i contenziosi aperti nelle relazioni bilaterali tra Svizzera e Italia, tra Ticino e Lombardia». Il Municipio si dice consapevole che questi attacchi – così li definisce – «hanno come scopo principale quello di generare un sentimento di paura verso i suoi cittadini e le sue imprese, che sempre più numerose stanno considerando la possibilità di trasferirsi altrove e che vedono nella Svizzera e Lugano in particolare una delle migliori piattaforme di servizi integrati e globali in cui trasferire le loro attività. Ciò vale sia per le imprese innovative ad alto valore aggiunto, come pure per i migliori cervelli attivi negli ambiti della medicina, della ricerca avanzata e anche per molti nuclei familiari. Lugano, per la sua qualità di location per lavorare, formarsi, crescere i figli e vivere, nel ministro italiano genera invidia e astio, sentimenti certo irrazionali; caratteri di una città che invece dovrebbero fornirgli materia prima di riflessione politica e organizzativa al fine di assicurare al suo paese un sistema economico e territoriale competitivo». Il Municipio scriverà al Consiglio di Stato, al Consiglio federale e all’Ambasciata italiana in Svizzera, promuovendo nel contempo atti parlamentari a livello federale.
19.05.2011

Svizzera. La Lega ticinese: blocchiamo le dogane
Dopo la bocciatura a Berna della mozione di Gobbi che chiede di fermare i ristorni
di SIMONE DELLA RIPA
"I blocchi alle dogane". Tanto è arrivata a chiedere ieri La Lega dei Ticinesi, particolarmente irata per la risposta che il Consiglio federale, il nostro consiglio dei ministri, per intenderci, ha dato alla mozione di Norman Gobbi che chiedeva il blocco del ristorno all'Italia da parte delle imposte alla fonte dei frontalieri italiani. Un documento controfirmato da altri 25 deputati ticinesi, anche di area non leghista, che l'ex consigliere nazionale leghista, Norman Gobbi, oggi Consigliere di Stato ticinese, ha proposto a Berna. Quello che il Consiglio federale ha dato è un parere non vincolante, il parlamento in assemblea potrebbe infischiarsene e procedere al blocco. Blocco o adeguamento dell'aliquota, anche questa nei desideri non solo della politica leghista d'oltre confine, un tentativo di abbassare il tasso dal 38,8 al 12,5. Ricordiamo che, nel solo 2009, il Ticino ha restituito alle regioni di confine italiane oltre 42 milioni di euro. Nessuno esulti quindi, il Consiglio federale ha bocciato l'intenzione ma non è entrata nel merito e le ultime parole di Tremonti, ritenute offensive da tutta la Svizzera, potrebbero spingere il Governo a rivedere, direttamente da Berna e non da Bellinzona, le posizioni circa i ristorni con una mossa che qualcuno annusa già nell'aria. I leghisti ticinesi hanno subito annunciato azioni forti contro l'Italia e domenica saranno annunciate alcune di queste sul giornale del partito. Si comincia con una mozione al Parlamento ticinese per il blocco dei ristorni del 2010, che dovrebbero essere liquidati a giugno, per arrivare ai blocchi in dogana. Si chiede pure il blocco delle autorizzazioni per i gestori patrimoniali italiani che vogliono stabilirsi in Ticino, pronti a lanciare anche un referendum contro ogni credito, cantonale o comunale, che dovesse venire votato in relazione della partecipazione della Svizzera all'Expo 2015. L'ultimo affondo è dedicato a quel consiglio federale che ieri, a detta degli uomini di Giuliano Bignasca, ha dimostrato "nullità politica e totale incapacità di difendere la piazza finanziaria". Insomma i leghisti sono davvero arrabbiati e chi continua a pensare che siano solo urli "perché chi più strilla la vacca è sua" deve ricredersi, e lo deve fare non solo in virtù del peso e del numero di voti che questo partito ha preso ma pure coscienti del fatto che non è più un partito solo a chiedere rispetto e misure compensative.

Svizzera. Come può difendersi la nostra piazza finanziaria
di Marco Bernasconi
Il Municipio di Lugano ha portato il suo saluto e il suo augurio ai deputati recentemente eletti in Gran Consiglio. Nel corso di questa manifestazione, alla quale hanno partecipato i municipali, i consiglieri comunali e altri invitati, sono stato incaricato di evidenziare i problemi più importanti e le pressioni alle quali è sottoposta la piazza finanziaria ticinese. Difficile qui riassumere l’intervento che ha toccato diverse questioni tra le quali l’uso delle informazioni acquisite in modo illegittimo dalle autorità fiscali degli altri Stati, le modalità per evitare il pericolo di una richiesta generalizzata di scambio di informazioni automatico che segnerebbe la fine del segreto bancario, le questioni fondamentali inerenti alla revisione del Trattato tra Svizzera e UE sull’euroritenuta, l’esame della nuova direttiva europea del 15 febbraio sullo scambio di informazioni automatico, gli interrogativi che suscita l’eventuale adozione del Modello Rubik e anche i rapporti con l’Italia che sono stati riproposti in modo clamoroso da un’intervista rilasciata dal Ministro Giulio Tremonti nei giorni scorsi. In quest’ambito è stata esaminata anche la dichiarazione di Tremonti dove si sostiene in primo luogo che la normativa sulla fiscalità del risparmio con l’UE è stata influenzata in modo determinante dalla Svizzera. Il portavoce del commissario dell’UE al fisco, Sermeta, ha reagito dichiarando che la Svizzera non ha condizionato l’eurodirettiva. La questione di merito sollevata da Tremonti, vale a dire l’elusione dell’euroritenuta da parte delle banche svizzere mediante la creazione di un numero estremamente rilevante di società off-shore, merita invece di essere considerata con maggiore attenzione.
È noto che l’euroritenuta si preleva soltanto sugli interessi dei capitali collocati in Svizzera delle persone fisiche residenti in Stati UE. Nei mesi precedenti l’entrata in vigore del Trattato sembra che le banche abbiano creato moltissime società off-shore alle quali sono stati versati i capitali delle persone fisiche residenti in UE. Il comportamento delle banche trova una sua giustificazione da parte dell’Amministrazione federale delle contribuzioni del 2005 dove al punto 76 si afferma quanto segue: «I titolari (soci, azionisti ecc.) di una persona giuridica sono irrilevanti ai fini della fiscalità del risparmio dell’UE, anche se sono persone fisiche. Questo vale anche qualora l’avente economicamente diritto ai sensi della legge sul riciclaggio di denaro sia stato identificato o accertato (ad es. tramite il Formulario A nelle banche)».
È evidente che un’apertura di questo genere da parte del fisco svizzero consente di limitare il prelievo. Di conseguenza l’ammontare complessivo versato da parte della Svizzera all’UE è stato fortemente influenzato da questo fatto. All’Italia per esempio nel 2009 è stato versato un importo di circa 122 milioni. Non vi è dubbio che questo importo così esiguo è direttamente influenzato “dall’apertura” creativa, per lo meno discutibile, dell’Amministrazione federale delle contribuzioni. Quest’importo appare alquanto ridotto se paragonato con quello di 50 milioni del ristorno annuo sull’imposta dei frontalieri versato dal Ticino in favore dei Comuni di frontiera italiani. Ora è perlomeno singolare che il Ticino versi la metà di tutto quando la piazza finanziaria svizzera, nel suo insieme, paga per l’euroritenuta. Mi sembra giusto rilevare che forse i Comuni di frontiera italiani non sono così entusiasti dalle affermazioni di Tremonti che contribuiscono a radicalizzare il confronto tra Italia e Svizzera. In tal caso nascerebbe un forte pregiudizio non solo per i Comuni di frontiera e per i contribuenti residenti. L’importanza del contributo ticinese deve far riflettere tanto l’Italia, quanto la Confederazione. Forse il Ministro delle finanze italiano dovrebbe essere più cauto nell’attaccare la piazza finanziaria di Lugano, e quindi quella ticinese, poiché proprio da questa fonte arriva un terzo dell’importo complessivo versato all’Italia. La Confederazione a sua volta dovrebbe chiedersi, soprattutto ora che si sta rivedendo a livello europeo la Direttiva sull’euroritenuta, se è ancora sostenibile la posizione dell’Amministrazione federale delle contribuzioni che ha provocato durissime reazioni da parte di Germania e Italia. Nel contempo, dovrebbe riconsiderare la propria chiusura nei confronti del riesame dell’Accordo sui frontalieri e avviare trattative con l’Italia per rinegoziare questo trattato internazionale. Purtroppo il Consiglio federale è ben lontano dal recepire quest’esigenza, come dimostra la sua risposta odierna a una mozione presentata da Norman Gobbi quando era consigliere nazionale. Per il Consiglio Federale dal 1974 ad oggi nulla è mutato: non vi è stata la globalizzazione, né la radicale modifica della politica in materia di scambio d’informazioni, né l’istituzione di un’imposta in Italia a partire dal 2003 a carico dei lavoratori dipendenti all’estero che prima non esisteva, né tanto meno il dissidio con l’Italia sull’adozione di una norma consensuale che regoli lo scambio d’informazioni come avvenuto con paesi quali gli USA, la Francia e la Germania. Il Consiglio Federale dichiara in conclusione della sua risposta che seguirà con interesse l’evolversi della situazione, come se questo fosse sufficiente dopo le dichiarazioni certamente non concilianti nei confronti della Svizzera e soprattutto del Ticino del ministro Tremonti, nella sua risposta accenna anche che gli accordi per i frontalieri tra Svizzere e Austria e Svizzere e Italia non possono essere confrontati poichè all’Austria viene riconosciuto il 12,5% di ristorno a tutti i residenti in Austria che lavorano in Svizzera, e all’Italia il 38,2% soltanto a coloro che risiedono nei 20 chilometri della fascia di frontiere. Credo che la distinzione abbia un valore soltanto formale intanto poichè la differenza tra il 38,2 e il 12,5 è abissale, e poi perché molto probabilmente (il dato non lo conosco) all’Austria viene versato un ristorno annuo molto più piccolo di quello che il Ticino riconosce all’Italia. Sarebbe invece tempo e ora che la Confederazione si accorgesse che l’unico punto di forza che può vantare nelle trattative con l’Italia è proprio quello delle rinegoziazione del ristorno dei frontalieri. Il Gran Consiglio ticinese si è espresso unanimemente a favore di questa soluzione. È tempo e ora che Berna dimostri, tra l’altro, di aver rispetto anche della solidarietà confederale nei confronti del Ticino.

Lavoro: solo 38 giovani italiani su 100 sono disposti ad andare all'estero
I giovani italiani sono tra i più restii a recarsi all'estero per studio, lavoro e formazione: solo il 38% dei giovani di età tra i 15 i 35 anni è disposto a trasferirsi all'estero e comunque per un periodo di tempo limitato. In Paesi come la Svezia, la Bulgaria o la Spagna, questa percentuale sfiora l'80%. Questo dato emerge dall'ultima indagine Eurobarometro, condotta nell'ambito della strategia «Youth on the Move» della Commissione europea, che contiene misure per migliorare le prospettive di lavoro dei giovani, promuovendo la mobilità e migliorando la qualità dell'istruzione e della formazione.
 I giovani italiani che trascorrono periodi all'estero per studio o formazione sono solo il 12%, meno della media europea del 14%. Il 33% dei giovani ha dichiarato di essere impossibilitato a farlo per mancanza di mezzi economici, mentre il 25% - soprattutto donne - per impegni legati alla famiglia.
 Tra coloro che hanno potuto recarsi all'estero, il 65% ha dovuto fare ricorso a finanziamenti privati o intaccare i propri risparmi. I giovani che hanno potuto beneficiare di prestiti o borse di studio nazionali e regionali sono infatti soltanto il 18%, percentuale che in Italia scende al 14%. Per questo motivo, l'Ue promuove diversi programmi che finanziano lo studio, la formazione e le esperienze di lavoro all'estero, come il programma Erasmus, che nell'anno 2009/2010 ha consentito a più di 210 mila studenti di seguire un programma di studio o di formazione in un altro paese europeo. Il programma è stato recentemente esteso anche ai giovani imprenditori. 
 L'Italia registra la percentuale più bassa nel campo dell'imprenditorialità giovanile. Secondo i dati, solo il 27% dei giovani italiani vorrebbe costituire un'impresa propria, mentre i più propensi sono risultati essere i bulgari (74%), a fronte di una media europea del  43%. Tra questi, il 50% è costituito da giovani compresi tra i 15 e i 19 anni  e solo il  34% da i giovani tra i 30 e i 35 anni.
 L'Italia supera di solo due punti l'Europa per la partecipazione dei giovani ad associazioni sportive e culturali (rispettivamente 48% e 46%), mentre si colloca ultima in classifica insieme alla Svezia per quanto riguarda i giovani e il volontariato: in Italia solo il 13% ha svolto attività di volontariato negli ultimi 12 mesi, a fronte di una media europea del 24%. La percentuale italiana è più bassa anche per quanto riguarda la partecipazione alle elezioni: il 71% di giovani ha votato alle elezioni politiche negli ultimi tre anni. La media europea è del 79%, mentre in alcuni paesi, quali Belgio e Svezia, supera il 90%.
 L'indagine Eurobarometro è pubblicata alla vigilia della Settimana europea della gioventù 2011 che si svolgerà dal 15 al 21 maggio. Androulla Vassiliou, commissaria europea responsabile per l'istruzione, la cultura, il multilinguismo e la gioventù, ha dichiarato: «L'indagine mette in evidenza l'interesse dei giovani a lavorare all'estero. Questa è una buona notizia per l'Europa! Sfortunatamente però questo loro desiderio si scontra con troppi ostacoli. È necessario facilitare lo studio, la formazione e il lavoro dei giovani all'estero e sensibilizzarli in merito ai contributi finanziari disponibili attraverso i programmi dell'Ue, come Erasmus, che possono dar loro un primo assaggio della vita fuori dal proprio paese» Per questo motivo nel corso di quest'anno la Commissione  europea conta di aumentare i finanziamenti dei programmi di mobilità a partire dal 2014.

Sondaggio Cei: per i giovani la mafia non sarà mai sconfitta
Il 70% dei giovani ritiene che il fenomeno mafia interessa ogni aspetto della società ed è inestirpabile
PALERMO - «La mafia è un fenomeno che non sarà mai sconfitto perché interessa ogni aspetto della nostra società». È il dato che emerge a sorpresa da un sondaggio sottoposto a 124 studenti del Centro Educativo Ignaziano di Palermo nell'ambito di un progetto sulla legalità condotto in collaborazione con l'agenzia Italpress. Il 70% dei giovani intervistati ha risposto così ad una delle domande sottoposte loro da alcuni compagni di scuola che hanno preso parte attivamente al progetto.

Nonostante il 78% ritenga che il sacrificio di uomini come Falcone e Borsellino sia «fondamentale per porre le basi per una società più libera dalla criminalità organizzata», sono troppo pochi coloro che intravedono nel breve periodo un futuro migliore. Eppure la maggior parte degli intervistati è animata da buoni propositi: il 72% riconosce anche nella legalità uno stile di vita, «qualcosa di più del semplice rispetto delle leggi», è «anche la capacità di dire no alle scorciatoie nella vita di ogni giorno».

Il 22% ritiene sia invece il rispetto delle leggi dello Stato, mentre il 4% non si è mai posto il problema. Ancora: per il 5% «la mafia non è mai esistita è solo criminalità comune», per il 12% «è un fenomeno che riguarda la mia vita solo marginalmente». Per il 16% «il sacrificio di uomini come Falcone e Borsellino è stato vano, la criminalità organizzata continuerà a fare affari anche nei prossimi anni». Il sondaggio non ha valore scientifico nè statistico. Il progetto legalità del Cei è stato realizzato durante l'anno scolastico sotto il coordinamento di padre Francesco Beneduce e del docente universitario Angelo Cuva.

Matrimoni, calo record. Le scelte dei giovani specchio dei tempi
di ANTONIO GOLINI
SOLO nel 1943, nel pieno della seconda guerra mondiale, e con ben 15 milioni di abitanti in meno, i matrimoni furono così pochi in Italia, 215 mila. L'anno scorso l'Istat stima infatti che siano stati 217 mila, mentre ad esempio nel 1972 ne furono celebrati 392 mila; in quasi 20 anni circa 180 mila in meno. Insomma, è sempre meno conveniente dedicarsi agli affari legati al matrimonio; gli organizzatori di cerimonie o i proponenti di viaggi di nozze lo sanno bene. Non solo ci si sposa sempre meno, ma anche sempre più tardi, con una età media al matrimonio di 33 anni per gli uomini e di 30 per le donne.
Questo calo mette in luce una tendenza impressionante, che nel giro di pochi anni può portare a rendere maggioritaria nel nostro Paese la quota di non con fugati rispetto a quella di chi decide di vivere in una unione consacrata dal sacerdote o ratificata dal sindaco. E infatti, se si consolidassero le tendenze messe in evidenza dall'Istat, intorno ai 60 anni resterebbero non coniugati ben il 51 per cento degli uomini e il 45 per cento delle donne. Che ci sia una crescente disaffezione nei confronti del matrimonio è questione ormai accertata e diffusa, non soltanto in Italia, ma anche all'estero. Disaffezione legata a un crescente, ed esasperato, individualismo, a una crescente secolarizzazione della società, a una maggiore svalutazione dell'istituto matrimoniale in quanto tale.
Il fatto è che un tempo ci si sposava anche per avere una vita sessuale piena e completa, ma ora questa motivazione è del tutto irrilevante, potendola avere prima e fuori del matrimonio. Un tempo ci si sposava anche per avere figli, magari più di uno, ma ora questa motivazione è diventata meno importante sia perché è fortemente diminuito il numero di figli desiderato, sia perché ormai più di un quinto delle nascite avviene fuori del matrimonio. Il matrimonio viene visto come un impegno serio — anzi spesso un legame forte e insopportabile — pure in tempi come i nostri in cui il divorzio è pienamente disponibile, anche se certo né in tempi brevi, né a buon mercato. E in questo periodo dominato dal cambiamento e dalla precarietà, certamente un legame serio e vincolante può essere né gradito, né gradevole. E d'altra parte se il lavoro è precario e incerto, perché non può esserlo anche una unione? E contemporaneamente se il lavoro è precario e incerto come si fa a consolidare una unione? Si preferisce quindi vivere senza un vincolo, che spesso viene poi desiderato e attuato dopo la nascita di un figlio.
Senza matrimonio è meno frequente però che una coppia decida di costruire un solido futuro, di sistemare una casa, di avere dei bambini. E così, anche per questa via si toglie un pezzo di futuro ai giovani e di conseguenza all'intera società e all'economia italiana. E quanto all'innalzamento così forte dell'età al matrimonio mette, fra l'altro, la biologia riproduttiva in grave difficoltà: si ha infatti una discrasia sempre più forte fra età alla maturazione sessuale, età lavorativa ed età procreativa che spesso arriva troppo tardi e rende difficile il progetto di avere un figlio o un figlio in più.
E pur tuttavia quando nelle indagini statistiche si chiede ai giovani qual è l'istituzione più importante, al primo posto viene sempre messa la famiglia; se si chiede loro quale sia il modo migliore per vivere insieme, l'assoluta maggioranza risponde che è il matrimonio. Se quindi è giusto lasciare una assoluta libertà — psicologica, economica, sociale — a chi non vuole sposarsi, si dovrebbe simmetricamente assicurare la stessa libertà a coloro che vogliono farlo, provvedendo a rimuovere gli ostacoli che impediscono loro di poter attuare questo desiderio. Oltre a dare piena soddisfazione alle loro aspettative — che è già un obiettivo di tutto rilievo — daremmo certamente più equilibrio e pro- spettive all'intera società, che ne ha così tanto bisogno.

Treviso. Zanzotto: aiutiamo i profughi, ma senza entusiasmo
"Profughi, l'aiuto dobbiamo darlo ma è chiaro che lo facciamo con spirito di dovere e non con entusiasmo''. Lo ha dichiarato all'Ansa il poeta Andrea Zanzotto
''Se 200 persone vengono distribuite in una provincia come Treviso, due per comune, il pericolo vero è che se fra essi c'è qualcuno che esprime un certo prestigio può formarsi una rete in contrasto con gli indigeni''.
Lo ha detto il poeta trevigiano Andrea Zanzotto, rispondendo ad una domanda sull'arrivo dei profughi dalla Libia.
''Si può avere la sensazione di una occupazione - ha detto - anche se non c'è pericolo che la nostra cultura venga contaminata. Insomma, l'aiuto dobbiamo darlo ma è chiaro che lo facciamo con spirito di dovere e non con entusiasmo''.
Se spalmare i profughi nei Comuni può generare un sistema antagonista alla popolazione locale, tuttavia, per Zanzotto ''concentrarli tutti in un solo luogo è peggio perchè si ottiene l'effetto di un ghetto''.
''Non saprei proprio come impostare una risposta - ha aggiunto il grande poeta trevigiano - perchè nella Storia se ne sono viste di tutte i colori ma una situazione simile è del tutto inedita. Certo, il rischio che qualche cialtrone si infili nei barconi che arrivano a Lampedusa è reale''.
 In merito agli altri temi posti dall'immigrazione, come la disponibilità di luoghi di culto, Zanzotto ha detto di ritenere che ''le moschee si possono fare''.
''Un cristiano ha il dovere di entrare in un clima di discussione aperta con i musulmani, con l'accortezza di tenersi lontano da quel fanatismo che i musulmani spesso esprimono. Nel mondo islamico siamo al medioevo. Se si pensa a ciò che la cultura araba ha prodotto nei secoli scorsi - ha concluso - adesso occorre riconoscere che e' regredita di molto''. 19 maggio 2011

Treviso. Maxi frode fiscale per 200 milioni di euro
Una maxi frode fiscale per 200 milioni di euro è stata scoperta dalla Guardia di Finanza nel settore orafo. Le indagini dei militari hanno portato alla luce un giro di false fatturazioni che ammontano a 500 milioni di euro, con una relativa evasione di tasse per 200 milioni, di cui 40 milioni di IVA evasa. L'indagine è cominciata a Vicenza dove i finanzieri hanno scoperto anche la vendita in nero di almeno una tonnellata d'oro.
Pubblicato il 19 Mag 2011

Treviso. I profughi sono 370. Lega contro Zaia: qui mai
Il prefetto Adinolfi: strutture, hotel, oppure famiglie. Silea la più solidale: ne accogliamo 10
Emergenza profughi, il prefetto chiama a raccolta i sindaci per ospitare i 370 profughi destinati alla Marca: 1 ogni 2mila abitanti. Ma la Lega si ribella: non ne vuole sapere. Una rivolta dichiarata, aperta dal sindaco Da Re uscito dopo pochi minuti. I sindaci di centrodestra e centrosinistra chiedono garanzie e condizioni. In primis la sicurezza, con rinforzi delle forze dell'ordine laddove i profughi approderanno in maniera più consistente. Il prefetto ha detto sì. Silea si smarca e vince la gara della solidarietà: il sindaco Piazza è disponibile ad accoglierne 10 anziché i 5 di «quota».  I sindaci dovranno comunicare alla prefettura i posti a disposizione: strutture di accoglienza, ma anche alberghi o caserme dismesse. E - novità del summit di ieri - le famiglie. «Nei confronti di queste persone c'è un dovere di ospitalità, almeno finché c'è la guerra», dice il prefetto Aldo Adinolfi.  Sui tempi nessuna certezza. Il flusso dei profughi dipende dall'andamento di guerra e bombardamenti. E così anche i numeri. Treviso ne ospiterà 40; i grandi centri dai 15 ai 18; una decina gli altri, fino a mini-nuclei nei paesi di 5mila abitanti.  I comuni sono stati convocati lunedì (in pratica a urne chiuse o quasi). «L'incontro è stato positivo - dice Adinolfi - La maggior parte dei sindaci si è detta disponibile. Confido nella solidarietà di questa provincia». Non c'era Roberto Tonellato, responsabile Protezione civile in Veneto, «soggetto attuatore» con il compito di individuare le strutture e gestire i flussi. Poche ore prima infatti il governatore Luca Zaia l'aveva «rimosso» dall'incarico, per combattere le resistenze all'arrivo dei profughi, quella di Muraro e leghisti in primis.  Sulle strutture per i profughi la prefettura ha elencato uno spettro ampio di soluzioni: centri di prima accoglienza e dormitori pubblici, ad alberghi e alle famiglie private. Lo Stato garantisce per  ogni profugo 40 €/giorno, elevabili fino a 46. «Somma che potrebbe spingere famiglie in difficoltà a farsi avanti - dice Adinolfi - Chiaro che il profilo di chi accoglie profughi deve essere serio». Non si escludono nemmeno le ex caserme. «Ma l'immobile è da sistemare, e dunque ci vogliono soldi» - continua il prefetto. I profughi godranno dello status di protezione sussidiaria, concedibile ai cittadini al di fuori del loro paese di origine e non possono farvi ritorno per i rischi di subire tortura, condanne a morte, minacce alla vita per la violenza indiscriminata in quadri di conflitto armato interno e internazionale. La «protezione» potrà cessare se le condizioni nel paese di origine miglioreranno. A concederla, a Gorizia, è la commissione territoriale riconoscimento status di rifugiato.  Sinora i profughi giunti nella Marca sono 38: 28 accolti nelle sedi Caritas, 10 minori al centro Opera Pj. (l.c.) 19 maggio 2011

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