mercoledì 8 giugno 2011

Grecia, ristrutturare il debito senza clamore


di Generoso Chiaradonna - 06/08/2011
La parola ristrutturazione fa troppo paura ai mercati allora si è optato per il più neutro e tranquillizzante termine inglese ‘reprofiling’. In italiano, ‘riscadenziamento’. La sostanza però non cambia: i detentori del debito greco devono prepararsi a non rivedere tutti i loro soldi.


La scorsa settimana la ‘troika’ Ue-Fmi-Bce ha sbloccato gli ultimi 12 miliardi di euro del pacchetto da 110 miliardi varato un anno fa per evitare il fallimento di uno dei cosiddetti paesi periferici della zona euro e nel contempo evitare la débâcle della stessa moneta unica. I prestiti europei – uniti a piani di austerity da lacrime e sangue varati dal governo Greco – non sono quindi bastati per ritornare a finanziarsi sui mercati internazionali a tassi non da usurai. Ed è a questo punto che spunta la possibilità e la necessità di un nuovo piano di aiuti di almeno altri 60 miliardi di euro. Questa volta però coinvolgendo anche il settore privato, ovvero le banche creditrici (principalmente francesi e tedesche), nella nuova operazione di salvataggio.
La conferma giunge dal presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker in persona e dal commissario per gli affari economici Olli Rehn. Non si capisce ancora bene in cosa consista questo ‘reprofiling’ e con quale formula si coinvolgeranno i creditori, ma l’importante è non dare l’impressione che il Paese stia scivolando verso un vero e proprio fallimento per non allarmare le agenzie di rating. Parole di commissario europeo. Agenzie che hanno già messo le mani avanti con Moody’s che afferma che ogni ipotesi di spostare in avanti le scadenze del debito equivale a un default. In poche parole o la Grecia dà prova di poter risanare i conti pubblici senza trucchi oppure si è pronti a bastonare nuovamente la già provata economia ellenica.

E tutto questo accade mentre il primo ministro socialista greco Giorgio Panpandreou è alle prese con un nuovo e difficile pacchetto di risparmi da far digerire al suo governo e ai suoi cittadini sempre più esasperati da una crisi che non accenna a demordere. Un pacchetto che contempla oltre ai soliti tagli alla spesa pubblica, anche l’innalzamento delle imposte e una serie di privatizzazioni di aziende pubbliche prima tra tutte la compagnia telefonica. Si è quindi giunti al punto di vendere i gioielli di famiglia.

Ma chi intravede in tutto questo la fine della moneta unica europea si sbaglia. Non è che tornando alla dracma i problemi della Grecia si risolvono magicamente, anzi. Se le finanze pubbliche greche, italiane, spagnole e portoghesi si trovano in uno stato critico la responsabilità non è di una moneta ma della incapacità delle politiche nazionali a riformare storture interne. Con l’adesione alla moneta unica non sono diventati di colpo tedeschi, ma neanche ci hanno provato.

L’euro è anche un progetto politico. La sua fine sarebbe la fine dell’Europa così come la conosciamo e nessuno, nemmeno il più anti-europeista convinto, può augurarsi la sua sparizione.

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