martedì 6 settembre 2011

Federali.Mattino_6.9.11. Pierluigi Magnaschi: sinora il gioco della gioiosa dissipazione era riuscito perché il sistema pubblico, per quanto clamorosamente indebitato, grazie al ruolo dell'euro, poteva essere sostenuto da un tasso di interesse molto basso che consentiva di rendere tollerabile un indebitamento che, in base al suo terrificante livello, avrebbe schiantato, in condizioni ordinarie, qualsiasi paese. Non a caso, in Italia, il rapporto fra il debito e il pil è esattamente il doppio rispetto a quello che il Trattato di Maastricht considera sia fisiologico: il 120 contro il 60%.----In Grecia la spesa pubblica finanziata in disavanzo ha costruito una generosa e distribuita rete di diritti finanziati dalle generazioni future. Si è creata un'assistenza sanitaria o assegnate pensioni che l'economia non era e non è in grado di mantenere. Si tratta di tagliare una parte dei servizi erogati in disavanzo ai cittadini che li percepiscono come dovuti e per sempre.

America's Cup, le regate vanno a Venezia
«Non posso dire a San Gennaro di spostare il miracolo a domenica»
Gli enti locali piangono ma continuano a spendere
Il Fmi fallirà in Grecia per colpa del welfare state
Tra i cow boy USA e le gli...indiani di certe banche CH


America's Cup, le regate vanno a Venezia
De Magistris: faremo senza di loro
Bagnoli esclusa. Caldoro: bisogna dire che altri sono stati più bravi, ma non è precluso niente. Ci sono altre tappe»
NAPOLI - Un altro smacco per Napoli. Le regate preliminari di Coppa America finiscono a Venezia, Bagnoli resta al palo e si dovrà ora fare i conti con le polemiche e le accuse che l'ennesimo colpo scatenerà sulla classe politica cittadina e regionale.
LA TAPPA IN LAGUNA - Sarà, infatti, Venezia la tappa italiana dell'America's Cup World Series, percorso per le qualificazioni della Coppa America. Lo ha annunciato nel corso di una conferenza stampa a Venezia Giorgio Orsoni, sindaco della città lagunare che ha illustrato il progetto insieme a Richard Worth, presidente dell'America's Cup Event Autorithy. «È un grande successo per Venezia e per tutto il Veneto che raccolgono migliaia di appassionati della vela - ha commentato Giorgio Orsoni - ma è una conferma della capacità della città di essere al centro della positiva attenzione internazionale. La Coppa America, la più grande manifestazione di sport velico al mondo, e la città più conosciuta sulla terra si uniscono per un evento di straordinaria eccellenza».

I SOLDI PERSI - Secondo alcune stime l'impatto economico diretto delle due tornate di regate sarebbe stato sui 50 milioni di euro. A questo va aggiunta la presenza di 30 mila spettatori non campani, la metà stranieri, per una spesa di una ventina di milioni di euro. Ogni equipaggio avrebbe speso, in media, 1,5 milioni di euro. A tutto questo va aggiunto il bacino televisivo con milioni di spettatori che avrebbero, per una volta, vedere le bellezze di Napoli e non le sue emergenze. Una grande operazione di rilancio che, invece, si è sgonfiata.

DUE GRANDI EVENTI PERSI - Napoli quindi perde la possibilità di essere lo scenario del grande appuntamento velico che si svolgerà in due tappe: maggio del 2012 e aprile del 2013, ultimo appuntamento prima della finale di San Francisco. Il campo di gara che Napoli offriva era quello di Bagnoli, ora invece sarà quello delle coppe veneziane, tre miglia oltre le bocche di porto di San Nicolò, a Lido di Venezia, dove si sfideranno i dieci equipaggi degli Ac45 (catamarani leggeri, circa 1400 chili, in grado di raggiungere la velocità di 50 chilometri all'ora) in trenta avvincenti gare che purtroppo i napoletani non potranno godere.

DE MAGISTRIS - «Non so se sapete cosa significhi mettere insieme sindaco di Napoli, presidente della Regione e della Provincia, i sovrintendenti, le autorità portuali, Bagnolifutura. Abbiamo lavorato in perfetta sintonia perchè ci hanno detto che si poteva fare. Io non ho motivo di dubitare, ma questa squadra può durare altre 48 ore». Lo ha detto il sindaco di Napoli Luigi de Magistris parlando della questione dell'Amerca's Cup poco prima di sapere della scelta di Worth, ma già immaginando l'esito infausto. «Ci facessero sapere - ha aggiunto - entro l'inizio della settimana prossima cosa vogliono fare - ha affermato - altrimenti si facessero le regate che vogliono perchè Napoli non aspetta l'America's Cup». Il sindaco ha sottolineato che «mai come in questo periodo c'è stata una collaborazione tra centrodestra e centrosinistra, e tra tutte le istituzioni» «Graziano, presidente dell'Unione industriali, ci dice che si fa l'America's Cup, ma quello non è il mio pallino. Lo abbiamo sentito qualche minuto fa e ci ha detto che si può fare una tappa anche a Napoli nel 2012 e 2013». «Dobbiamo solo capire cosa è accaduto nelle trattative o se è successo qualcosa che non sappiamo - ha concluso - Altrimenti non abbiamo motivo di dubitare di ciò che dice Graziano. La città sarà bella e importante anche senza l'Americàs Cup». «Nei prossimi giorni rilanceremo il progetto di Napoli per Bagnoli, l'America's Cup era un passaggio per il rilancio di quell'area».«Se viene l'America's Cup, bene - ha affermato - altrimenti va bene lo stesso e saranno contenti quelli che erano contrari». «A me interessa che quell'area - ha aggiunto - torni a essere uno dei punti centrali della città che ci siano sviluppo, turismo, lavoro, edilizia sociale, pubblica, provata, parco dello sport. Su quello ci concentriamo». «Bagnoli sarà rilanciata alla grande - ha concluso - nei prossimi mesi saranno inaugurati lavori che sono stati portati a termine».

CALDORO - «Da punto di vista sportivo, quando una tappa si perde bisogna prenderne atto, devo dire che chi è stato in campo è stato più bravo». Il governatore della Campania, Stefano Caldoro, commenta così l'aggiudicazione da parte di Venezia delle due tappe della World series della Coppa America per le quali aveva concorso anche Napoli. «Però - ha affermato - da qui a dire che sono stati più bravi perchè avevano tutte le condizioni è da vedere ancora». E occorre capire come «gli altri», e cioè Venezia, «hanno portato avanti le trattative». «Non solo quello che abbiamo fatto noi, ma soprattutto quello che hanno fatto gli altri e cosa è successo con gli altri interlocutori - ha sottolineato - in particolare con chi ha ottenuto l'aggiudicazione delle tappe della Coppa America». «Non è precluso niente - ha aggiunto - ci sono altre tappe da fare». «Quelli erano gli appuntamenti per i quali concorrevamo, poi se ne possono rendere disponibili anche altri - ha concluso - perchè qualora non ci fossero le tappe in Nuova Zelanda, l'Italia avrà non due ma quattro tappe. Lo ha detto chiaramente anche l'Acea, l'ente organizzatore dell'Americàs cup»

RUSSO (PD) - «L’occasione della Vuitton Cup avrebbe potuto dare slancio sia economico che pubblico alla città di Napoli: resta una profonda amarezza per l’esito a cui si e’ giunti. Forse sarebbe stata necessaria una maggiore determinazione da parte di tutte le istituzioni coinvolte, ma credo non sia il caso di buttare la croce addosso a nessuno. E’ utile fare riflessioni su quello che non e’ andato, ma per favore evitiamo polemiche sterili ed autolesioniste. Infine, è da scongiurare che persa questa occasione si dissolva anche il patto tra le principali istituzioni che e’ condizione, invece indispensabile, per favorire prospettive di rilancio per Napoli e la Campania».

SCHIFONE (PDL) - «Andare alla ricerca delle responsabilità – solo per scaricare sugli altri, le proprie – non serve. Meglio far tesoro della lezione e far si che non abbia più a ripetersi per il futuro». Così, Luciano Schifone, consigliere regionale del Pdl e Presidente del Tavolo Regionale del Partenariato Economico e Sociale, intervenendo a proposito dell’assegnazione a Venezia, anziché a Napoli, delle regate della Vuitton cup, fase preliminare dell’America’s cup, campionato del mondo di vela che tra l’altro, fino a qualche anno addietro nel nostro Paese era scarsamente conosciuto e diventato famoso anche da noi, grazie ai successi di un equipaggio napoletano: “Mascalzone Latino”. «Personalmente, sono convinto – aggiunge – che se la riqualificazione dell’area Bagnoli, di cui si parla da decenni, fosse già stata completata; le polemiche di questi mesi circa le cose da fare e su come farle, per conquistare il diritto a far disputare le regate in quel di Bagnoli non ci fossero state e la lentezza di Palazzo San Giacomo nell’espletamento dell’iter procedurale-burocratico, non avesse dato la sensazione che a Napoli qualcuno non credesse al progetto, probabilmente, avremmo evitato alla città quest’ulteriore affronto». «Certo – rileva – ospitare la Coppa America, poteva rappresentare una ragione in più per accelerare l’opera di riqualificazione dell’area ex Italsider, ma il fallimento di questo tentativo, non deve significare rinunciare al progetto. Anzi. Insieme alla ritrovata unità d’intenti fra Regione, Provincia, Comune ed Industriali, deve fare da propellente alla macchina della rigenerazione di un’area, così importante e determinante per lo sviluppo socio-economico e turistico della nostra città. Tant’è che uno dei “grandi Progetti”, presentati dalla Giunta Caldoro a Bruxelles, riguarda proprio tale zona. Concentriamoci su questo, allora». «Del resto – sottolinea – avremmo già dovuto capirlo, in occasione del primo “no” della Coppa America a Napoli, ai tempi della Giunta Iervolino, che la nostra Amministrazione a tutti i livelli non è ritenuta né credibile e neanche affidabile. Allora, prima realizziamo ciò che serve poi potremo candidarci ad ospitare eventi di così grande portata”. “In fondo – conclude Schifone – La Coppa America era un’occasione significativa, ma ce ne saranno altre per “vincere”. E poi, il futuro di Napoli e dei napoletani, è ancora più importante di qualsiasi iniziativa anche di respiro internazionale».

SANTORO (FLI) - «Mai come in questa occasione la politica napoletana ha fatto fino in fondo il suo dovere, quindi la bocciatura di Napoli in favore di Venezia per le qualificazioni della Vuitton Cup vanno addebitate alla debolezza del tessuto imprenditoriale cittadino». Inizia così la nota del capogruppo di FLI al Comune di Napoli Andrea Santoro, che prosegue: «Ho condiviso l'intuizione del sindaco De Magistris che vedeva in questo evento una opportunità per mettere finalmente in moto Bagnoli. Ed ho apprezzato il grande senso di responsabilità del Presidente della Provincia e del Governatore Caldoro che senza esitazioni hanno fatto tutto ciò che dovevano per creare le condizioni »istituzionali« favorevoli all'evento. Oltre questo, la politica non poteva e non doveva fare altro. Le »pressioni« sugli organizzatori andavano esercitate da altri portatori di interesse, dagli imprenditori partenopei che volevano investire nell'evento. Mi viene però un dubbio: esistevano questi imprenditori? Oppure vi erano solo attese per potersi accaparrare qualche commessa pubblica per questo o quel lavoro?». «Comunque sia - conclude Santoro - bisogna che si lavori a Bagnoli indipendentemente dalla Vuitton Cup. Bisogna accelerare tutta l'attività di Bagnolifutura e se necessario rivedere i progetti e le destinazioni d'uso dei suoli previste dalla variante. Abbiamo il dovere in Consiglio Comunale di insediare subito la Commissione di Vigilanza prevista».

«Non posso dire a San Gennaro di spostare il miracolo a domenica»
Il cardinale Sepe ironico: «Il sangue si scioglie il 19 settembre, ci vuole rispetto per questa tipicità»
NAPOLI - «Possono pure decidere di spostare San Pasquale ma San Gennaro ha una sua particolarità, non è una data, ma un evento soprannaturale che avviene in quel giorno». Così il cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe, a proposito della decisione del governo che, a fronte della crisi economica vorrebbe accorpare alla domenica le feste patronali, per cui San Gennaro, patrono di Napoli, si festeggerebbe non necessariamente il 19 settembre. «Non posso dire: “San Genna”, il miracolo fallo di domenica perchè stiamo parlando di un evento che si verifica in quel giorno», ha proseguito il presule. «Chiedo rispetto per questa nostra tipicità - ha concluso Sepe - loro facciano quello che vogliono, noi quello che vogliamo».

CALDORO SOTTOSCRIVE - «Sono totalmente d’accordo con la posizione della chiesa di Napoli» che «non ci sono distinguo su questo argomento», ha detto il presidente campano Stefano Caldoro a margine della firma di un protocollo d’intesa con l’Arcidiocesi partenopea. Caldoro ha aggiunto anche: «Non posso che sottoscrivere quanto ha affermato il cardinale e l’ho detto già pubblicamente quando lui ne ha parlato».

DE MAGISTRIS - «Non posso che condividere le parole del cardinale Sepe. La ricorrenza di San Gennaro ha un carattere religioso e mistico che certamente non può essere disciplinato per legge. Il sangue del santo patrono della nostra città si scioglie il 19 settembre, una data che, oltre ad avere un alto valore simbolico per tutti i cittadini napoletani, è anche un momento di costruzione di legami identitari e comunitari che l'amministrazione deve proteggere», dice il sindaco di Napoli.
Fr. Par.

Gli enti locali piangono ma continuano a spendere
 di Pierluigi Magnaschi  
Non è giusto fare dei discorsi generalizzati perché ci sono anche degli enti locali (pochi, ma ci sono) che usano con oculatezza le risorse pubbliche. Resta però il fatto che la maggioranza di essi ritiene che i soldi di tutti siano i soldi di nessuno e soprattutto che essi siano sempre disponibili. Se mancano, è solo perché qualcuno li ha nascosti. Ogni mattino, in quasi tutte le imprese, chi ha la responsabilità di gestirle, si pone il problema, largamente prevalente su tutti gli altri: come ridurre i costi. Non in linea teorica ma concretamente. Negli enti locali invece (ripeto, nella maggioranza degli enti locali) l'amministratore si alza al mattino con un'idea fissai in testa: come riuscire a spendere tutto ciò che è disponibile. Sinora il gioco della gioiosa dissipazione era riuscito perché il sistema pubblico, per quanto clamorosamente indebitato, grazie al ruolo dell'euro, poteva essere sostenuto da un tasso di interesse molto basso che consentiva di rendere tollerabile un indebitamento che, in base al suo terrificante livello, avrebbe schiantato, in condizioni ordinarie, qualsiasi paese. Non a caso, in Italia, il rapporto fra il debito e il pil è esattamente il doppio rispetto a quello che il Trattato di Maastricht considera sia fisiologico: il 120 contro il 60%. Gli stessi sindaci che, andando in giro con le fasce tricolori, minacciano di ridurre i posti nelle scuole materne, sono gli stessi che non hanno intenzione di rinsavire. Essi infatti non tengono conto che, mentre i sottoscrittori dei Btp italiani stanno chiedendo un tasso di interesse che (nonostante l'intervento della Bce, che non durerà in eterno) è già del 3,7% più alto di quello chiesto per gli analoghi titoli tedeschi, alla Grecia si sta chiedendo il 17,5% in più. Cioè vuol dire, al di là degli eufemismi, che la Grecia è già fallita. In questo drammatico contesto, in una piccola provincia italiana inizia questa settimana un Festival culturale che costa più di un milione di euro; si indìce un incontro internazionale di sindaci (chi paga le trasferte?) da cui salta fuori l'idea che l'anno prossimo saranno invitati dei giovani giapponesi di Fukushima (chi paga?). Sono in corso festival di jazz come nemmeno a New Orleans. Inoltre si intende realizzare una nuova enorme sede comunale. Un'azienda che prevedeva l'ampliamento degli impianti, se si trova in crisi, rinvia l'investimento. Nei Comuni no. Perché essi si comportano come enti di spesa, non di oculata gestione. Il sindaco migliore è quello che spende di più. E fra i sindaci che spendono di più quello che prende più voti e colui che spende in direzioni più futili anche se più vistose.

Il Fmi fallirà in Grecia per colpa del welfare state
 di Edoardo Narduzzi  
La scorsa settimana la troika Ue-Bce-Fmi ha trovato una brutta sorpresa ad Atene. I numeri della finanza pubblica greca sono distanti dai target concordati per il prestito da 100 miliardi di euro. Numeri che sono anche condizionanti l'attivazione della quinta tranche dello stesso finanziamento. Atene punta il dito sulla recessione più pesante quest'anno di quanto era previsto al momento del perfezionamento del piano: meno 4,5% atteso mentre nel secondo trimestre la contrazione è stata del 6,9% su base annua. Il Fmi è stato negli anni 80 e 90 del Novecento una macchina perfetta per governare il riequilibrio macroeconomico dei paesi in via di sviluppo. E ancora oggi agisce bene in Africa o in altri singoli paesi bisognosi di aiuti finanziari come l'Ucraina. Interviene dettando poche e chiare regole ai paesi in disequilibrio: privatizzazioni e liberalizzazioni; piani per dare efficienza alle politiche fiscali; tagli alla spesa corrente rappresentata anche da stipendi e servizi pubblici. Qualche protesta si leva ma viene gestita senza troppi problemi dai governi locali. In pochi anni, l'economia è riformata e trasformata in un miracolo cileno o indonesiano. Si tratta di paesi nei quali la spesa pubblica non ha avuto il tempo e le risorse per costruire un generoso e articolato stato sociale. Nei paesi nei quali il Fmi solitamente interviene, il welfare state è marginale e poco articolato. Tutta diversa la storia nei paesi europei. In Grecia la spesa pubblica finanziata in disavanzo ha costruito una generosa e distribuita rete di diritti finanziati dalle generazioni future. Si è creata un'assistenza sanitaria o assegnate pensioni che l'economia non era e non è in grado di mantenere. Si tratta di tagliare una parte dei servizi erogati in disavanzo ai cittadini che li percepiscono come dovuti e per sempre. È un passaggio tutt'altro che marginale, perché la resistenza al cambiamento è ovunque. Nella classe dirigente sindacale, negli interessi diffusi delle persone, nelle generazioni più anziane che hanno o stanno per avere una rendita pensionistica, nelle imprese sussidiate, nella aziende pubbliche ricapitalizzate dalle tasse. Tutti interessi che remano contro, senza farlo troppo filtrare, la strategia del Fmi. Ecco perché la probabilità che il piano di salvataggio della Grecia abbia successo è davvero ormai remota. Perché si è dato troppo per scontato che fosse altrettanto facile far digerire ai greci le riforme possibili in Perù. I ricchi pensano sempre di avere più diritti dei poveri anche quando a finanziare è il Fmi. E il caso greco lo certifica con tutta evidenza.

Tra i cow boy USA e le gli...indiani di certe banche CH
di Marco Bernasconi e Donatella Ferrari
Ci risiamo! Gli Stati Uniti chiedono nuovamente alla Svizzera informazioni bancarie riguardanti loro residenti sospettati di aver evaso il fisco. Più precisamente la domanda di informazioni concerne i clienti di una decina di banche svizzere, siano esse persone fisiche o persone giuridiche, che hanno detenuto conti con almeno 50.000 dollari per il periodo compreso tra il 2002 e il 2010.
Nel recente passato, al fisco americano, la Svizzera aveva già trasmesso prima, per decisione della FINMA, 250 nomi e poi, per decisione delle Camere federali, 4500 nomi di clienti dell’UBS.
L’Associazione delle Banche svizzere ha preso immediatamente posizione su questa ulteriore domanda di informazione dichiarando che i dati bancari possono essere consegnati soltanto sulla base della legislazione federale svizzera e dei trattati internazionali fiscali conclusi fra Svizzera e Stati Uniti. (...)
Attualmente lo scambio di informazioni è regolato dall’art. 26 della Convenzione per evitare la doppia imposizione fiscale del 1. gennaio 1996. Le informazioni, anche bancarie, possono essere trasmesse agli Stati Uniti solo in caso di frode e di comportamenti analoghi. L’istanza con la quale gli Stati Uniti avevano di fatto a suo tempo ordinato alla Svizzera di consegnare 4500 nomi di clienti UBS sospettati di evasione fiscale, venne in un primo momento recepita in un Accordo pattuito dal Consiglio federale. Contro questo Accordo venne interposto un ricorso al Tribunale federale con il quale si sosteneva che lo stesso violava l’art. 26 della vigente Convenzione fiscale con gli Stati Uniti. Infatti tra i 4500 casi per i quali gli Stati Uniti chiedevano l’assistenza amministrativa vi erano atti dei contribuenti assimilabili alla “truffa fiscale e comportamenti analoghi” (previsti dall’art. 26), ma anche atti contrassegnati come “contravvenzioni gravi e continuate”. Siccome la convenzione stabilisce che l’assistenza amministrativa è concessa soltanto in caso di “frode e comportamenti analoghi”, il Tribunale federale decise che il Consiglio federale non fosse competente ad estendere lo scambio di informazioni anche al caso di “sottrazione grave e continuata”. La decisione doveva essere adottata dalle Camere federali, le quali, in seguito, ratificarono l’accordo pattuito dal Consiglio federale, così che le informazioni fiscali bancarie riguardanti i clienti UBS vennero trasmesse agli Stati Uniti anche in caso di “contravvenzioni gravi e continuate”. Le Camere federali approvarono anche una dichiarazione della Svizzera del seguente tenore: «La Confederazione svizzera dichiara di essere disposta ad esaminare e trattare ulteriori domande di assistenza amministrativa presentate dall’IRS ai sensi dell’art. 26 della vigente convenzione per evitare la doppia imposizione, se siano basate su fatti e circostanze analoghi a quelli del caso UBS SA». Letta oggi questa dichiarazione costituisce indubbiamente un precedente molto preoccupante. Infatti, se le recenti richieste del fisco americano risultassero analoghe a quelle riguardanti i clienti di UBS, se ne dedurrebbe che la Svizzera debba accoglierle sulla base della dichiarazione di cui sopra.
Siamo confrontati nuovamente a una richiesta di deroga della vigente convenzione fiscale conclusa nel 1996. Infatti per soddisfare le esigenze degli Stati Uniti che chiedono anche per i clienti di altre banche un’assistenza amministrativa in caso di “contravvenzione grave e continuata”, sarebbe indispensabile che le Camere federali adottino un nuovo trattato specifico. Le continue deroghe richieste dagli Stati Uniti svuotano di contenuto la convenzione vigente e danno luogo ad una costante incertezza del diritto. Bisognerà ora vedere se l’autorità politica svizzera avrà la forza di invocare il rispetto della convenzione oppure se dovrà cedere ancora una volta alla legge del più forte. Non si può tuttavia far a meno di rilevare che questa ulteriore vertenza con gli Stati Uniti deriva da un comportamento non certo cristallino da parte di alcune banche elvetiche. Attualmente lo scambio di informazioni è regolato dall’art. 26 della Convenzione per evitare la doppia imposizione fiscale del 1. gennaio 1996. Le informazioni, anche bancarie, possono essere trasmesse agli Stati Uniti solo in caso di frode e di comportamenti analoghi. L’istanza con la quale gli Stati Uniti avevano di fatto a suo tempo ordinato alla Svizzera di consegnare 4500 nomi di clienti UBS sospettati di evasione fiscale, venne in un primo momento recepita in un Accordo pattuito dal Consiglio federale. Contro questo Accordo venne interposto un ricorso al Tribunale federale con il quale si sosteneva che lo stesso violava l’art. 26 della vigente Convenzione fiscale con gli Stati Uniti. Infatti tra i 4500 casi per i quali gli Stati Uniti chiedevano l’assistenza amministrativa vi erano atti dei contribuenti assimilabili alla “truffa fiscale e comportamenti analoghi” (previsti dall’art. 26), ma anche atti contrassegnati come “contravvenzioni gravi e continuate”. Siccome la convenzione stabilisce che l’assistenza amministrativa è concessa soltanto in caso di “frode e comportamenti analoghi”, il Tribunale federale decise che il Consiglio federale non fosse competente ad estendere lo scambio di informazioni anche al caso di “sottrazione grave e continuata”. La decisione doveva essere adottata dalle Camere federali, le quali, in seguito, ratificarono l’accordo pattuito dal Consiglio federale, così che le informazioni fiscali bancarie riguardanti i clienti UBS vennero trasmesse agli Stati Uniti anche in caso di “contravvenzioni gravi e continuate”. Le Camere federali approvarono anche una dichiarazione della Svizzera del seguente tenore: «La Confederazione svizzera dichiara di essere disposta ad esaminare e trattare ulteriori domande di assistenza amministrativa presentate dall’IRS ai sensi dell’art. 26 della vigente convenzione per evitare la doppia imposizione, se siano basate su fatti e circostanze analoghi a quelli del caso UBS SA». Letta oggi questa dichiarazione costituisce indubbiamente un precedente molto preoccupante. Infatti, se le recenti richieste del fisco americano risultassero analoghe a quelle riguardanti i clienti di UBS, se ne dedurrebbe che la Svizzera debba accoglierle sulla base della dichiarazione di cui sopra.
Siamo confrontati nuovamente a una richiesta di deroga della vigente convenzione fiscale conclusa nel 1996. Infatti per soddisfare le esigenze degli Stati Uniti che chiedono anche per i clienti di altre banche un’assistenza amministrativa in caso di “contravvenzione grave e continuata”, sarebbe indispensabile che le Camere federali adottino un nuovo trattato specifico. Le continue deroghe richieste dagli Stati Uniti svuotano di contenuto la convenzione vigente e danno luogo ad una costante incertezza del diritto. Bisognerà ora vedere se l’autorità politica svizzera avrà la forza di invocare il rispetto della convenzione oppure se dovrà cedere ancora una volta alla legge del più forte. Non si può tuttavia far a meno di rilevare che questa ulteriore vertenza con gli Stati Uniti deriva da un comportamento non certo cristallino da parte di alcune banche elvetiche.

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