lunedì 3 gennaio 2011

Il presente è vuoto, il futuro è nero; provate col minimalismo

1. Il presente è vuoto, il futuro è nero, di DOMENICO LOGOZZO
2. "Vivere con 100 cose" È la tribù dei minimalisti, di FEDERICO RAMPINI



«Non c'è niente da fare. Il presente è vuoto. Il futuro è nero». Quante volte abbiamo sentito i ragazzi del Sud rispondere sconsolati e sfiduciati a chi chiedeva loro un giudizio sulla condizione giovanile nell'area estrema della penisola! Troppe promesse non mantenute. Troppe umiliazioni. L’assistenzialismo parassitario come unica forma di “presenza deviata” dello Stato in regioni dove l’anti-Stato fa e disfà. Distrugge. Siamo arrivati ad un punto estremo. Quello del non ritorno. Il baratro è vicino. E alto si è alzato il grido d’allarme del presidente Napolitano in occasione del discorso di fine anno. Preoccupazione legittima. Analisi lucida. Altro che “lieto vivere collettivo” furbescamente propagandato per nascondere una verità ben diversa, quella dei giovani alla disperata ricerca di un lavoro onesto. Non quello disonesto e infame che purtroppo offrono la mafia, i politici e gli imprenditori corrotti nel Sud del Sud: arricchimento immediato e illecito, con la violenza e l'inganno. «Riprendetevi il vostro futuro. Non fidatevi e ribellatevi. Pacificamente, democraticamente, senza scorciatoie, ma fate sentire la vostra voce», ha scritto domenica il direttore Matteo Cosenza, invitando i giovani ad essere protagonisti attivi di una mobilitazione collettiva, che dalla piazza virtuale della rete, si trasferisca nella realtà. Incontrarsi e confrontarsi. Guardarsi in faccia e decidere «nuove forme di impegno politico». Scegliere, non farsi imporre ancora una volta le scelte scellerate. Il 25 settembre 2010 il “Quotidiano” è riuscito a portare in piazza a Reggio Calabria decine di migliaia di calabresi, per dire no al potere mafioso. Una manifestazione che ha dato i suoi frutti positivi. Perché non riproporre un’altra iniziativa del genere rimettendo al centro dell’attenzione nazionale l’”emergenza giovani”? Ripartire dalla Calabria. E questo per dare seguito alle parole di Napolitano, che ha citato innanzitutto l’incontro con i giovani di Reggio Calabria, avvenuto un anno fa. Giovani che hanno evidentemente saputo “illustrare” al capo dello Stato una situazione di profonda disperazione e crescente amarezza: le istanze di crescita civile e sociale colpevolmente ignorate. Il riferimento a Reggio Calabria, ai nostri ragazzi, è un segnale preciso, un invito a recepire e risolvere i problemi dei giovani della nostra regione. Ripetiamo, non a caso Napolitano ha ricordato l’incontro con la realtà giovanile della più emarginata regione d’Italia. Un segnale netto e chiaro. La classe politica che decide le sorti della Calabria è stata investita del problema. Un richiamo autorevole dalla più alta carica dello Stato. La risposta degli uomini politici, degli imprenditori, delle organizzazioni sindacali, degli esponenti della cultura e della Chiesa, debbono essere immediate e reali. Non fumose, come è avvenuto nel lontano e nel recente passato. Napolitano ha voluto dare anche un netto segnale di fiducia ai nostri giovani “senza futuro”. Una iniezione di speranza, contro il pessimismo dilagante. Non abbattersi. Reagire. Insistere nelle azioni positive. Proporre. Mettere le belle intelligenze al servizio del bene comune. La voce del presidente della Repubblica contro l’isolamento ed i silenzi, contro i falsi ottimismi e le ambiguità, non può cadere nel vuoto. Per tanti, troppi motivi. A partire dalla convivenza civile. Più occupazione meno mafia; più legalità, meno soprusi. E' ora di dire basta alle ingerenze politico-mafiose nel progetto di sviluppo della Calabria. Non sono tollerabili “zone grigie”, più volte denunciate, anche in occasione dell’anniversario dell’uccisione del vicepresidente del consiglio Regionale della Calabria, Francesco Fortugno. Autorevoli esponenti politici e onesti servitori dello Stato in quella occasione hanno sottolineato l’alto valore della legalità e il procuratore nazionale antimafia Grasso, si è soffermato particolarmente sul ruolo delle giovani generazioni nella costruzione della società del futuro. Un appello al rispetto delle regole e un invito a prestare la massima attenzione alle aspettative e alle proposte dei nostri ragazzi. Un interesse appassionato, che gli studenti che affollavano il palazzetto dello sport hanno apprezzato e capito fino in fondo. Il dubbio è purtroppo un altro: chi ha istituzionalmente il dovere di mettere in atto “la svolta”, ha capito? Saprà e vorrà farlo? E’ in effetti questa la “partita del futuro” che non si può e non si deve perdere. I giovani calabresi debbono evitare di farsi ingabbiare dal fatalismo che i “pessimi maestri” cercano di diffondere, per impedire il cambiamento. «Non c’è niente da fare», è un alibi per coprire l’incapacità e per giustificare l’immobilismo. Basta. Bisogna avere la forza ed il coraggio di invertire la rotta. Ci sono le capacità, ci sono le belle intelligenze, c'è una cultura del fare che lotta contro il non fare e che va sostenuta. Ci sono giovani brillanti che vanno incoraggiati. Intelligenze colpevolmente trascurate. Avere la forza di recidere il male. I giovani calabresi, sanno valutare e decidere. Da sempre. A questo proposito ci sembra opportuno riproporre quello che in “Quasi una vita” scriveva nel 1938 Corrado Alvaro: «Al mio paese, i ragazzi rappresentano l’opinione pubblica: approvano, fischiano chi sgarra, tirano sassi a chi fa il prepotente. Sono i primi ad avvertire le mancanze e le debolezze del mondo adulto. Sono esatti e crudeli nei loro giudizi. Essi accettano e tollerano nei giovani e nei poveri ciò che condannano nei vecchi e in quelli di una certa condizione». Una testimonianza che fa riflettere sul ruolo dei ragazzi calabresi della prima metà del Novecento e che oggi deve rappresentare un’utile riflessione contro le disuguaglianze e le colpevoli discriminazioni.

NEW YORK - "Si comincia dagli armadi dei vestiti, del resto ne abbiamo sempre tanti, troppi. Ridurre il proprio guardaroba è il primo gesto catartico, e ti dà forza per proseguire col resto della casa. Buttare via tanto, ti vaccina contro la tentazione di comprare ancora più di prima. Dopo qualche mese anche le tue abitudini di consumatore cominceranno a cambiare". Sono i consigli pratici del manuale "La sfida delle 100 cose", la Bibbia di un nuovo movimento. L'autore Dave Bruno di San Diego, in California, è adorato dai suoi fan su Facebook e ha seguaci in tutti gli Stati Uniti. Famiglie intere aderiscono a quella che si definisce una "nuova aritmetica della vita", ovvero: "minima addizione, massima sottrazione".

Liberarsi di tutto il superfluo, e resistere alla tentazione di nuovi acquisti impulsivi, dettati dai riflessi pavloviani che scatena in noi la pubblicità o l'emulazione del vicino. Imparare a vivere con 100 cose, appunto, non una di più. "In realtà quel numero non va visto come un feticcio", spiega Bruno che è aperto a compromessi e mediazioni, "ma aiuta a concentrarsi, a tenere d'occhio l'obiettivo finale". O i molteplici obiettivi. Perché il movimento delle "cento cose" in America piace agli ambientalisti, ovviamente, ma raccoglie anche consensi di colore molto diverso.

Ha una funzione economica: l'America vuole imparare a vivere entro i limiti del proprio reddito, curandosi dalla tentazione di indebitarsi. Ha una dimensione psicologica, la liberazione dallo stress, e non a caso sorge in parallelo la figura professionale del "life-coach", colui o colei che ti allena alla vita, una sorta di psicoterapeuta delle scelte quotidiane. Infine c'è una scelta educativa: bisogna preparare figli e nipoti a vivere sereni con meno cose, visto che queste saranno le prime generazioni occidentali costrette a ridimensionarsi rispetto ai genitori. E così con tante motivazioni diverse, un esercito di famiglie americane si riconosce nella nuova definizione di "personal downsizers".

Il "downsizing" era stato sinonimo delle feroci ristrutturazioni aziendali, licenziamenti di massa per fare più profitti, e come risultato finale produceva un'industria manifatturiera sempre più rimpicciolita. Ora il "downsizing" lo adotta questa nuova tipologia di consumatore. Il Washington Post racconta una giornata in casa della famiglia Swindlehurst, a Minneapolis, che inizia dal grande gesto di catarsi: svuotare armadi, soffitte, ripostigli, cantine e garage. Sembra la riscoperta di una tradizione antica, gli yard-sale, la vendita sul marciapiede di casa degli oggetti di troppo, che le famiglie americane hanno sempre praticato per svuotarsi del superfluo in occasione di matrimoni, traslochi, funerali.

Ma ora è diverso, il grande ripulisti non è la premessa per tornare all'assalto degli ipermercati. Uno studio della compagnia assicurativa MetLife rivela che il 40% della "generazione millennio" (americani nati fra gli anni Ottanta e i primi anni Novanta) è convinta di avere già tutto il necessario: erano solo il 28% nel 2008, agli albori della grande crisi. La percentuale di quelli che si sentono sotto pressione per "comprare di più" è scesa dal 66 al 47% durante la recessione. E non è un fatto esclusivamente generazionale. Il 77% degli americani di ogni età si dice convinto che per migliorare la qualità della vita oggi le relazioni con gli altri esseri umani sono più importanti del benessere materiale.

Sean Gosiewski, direttore della Alliance for Sustainability, saluta questa evoluzione dei valori: "Ci aspettano vent'anni in cui dovremo tutti ridimensionare le nostre aspettative di consumo e adottare abitudini di vita più semplici, tanto vale cominciare subito e con lo spirito giusto". Per esempio usando i primi giorni di riposo del 2011 per riunire la famiglia e redigere la lista delle "cento cose di cui non possiamo davvero fare a meno".
Un gioco divertente, assicurano i fan del movimento, e che ci aiuta a scoprire tanto di noi stessi. Oltre a liberare spazio disponibile, metri quadri preziosi, occupati da stratificazioni di oggetti inutili forse già al momento del primo acquisto.
(03 gennaio 2011)





Nessun commento: