giovedì 13 gennaio 2011

La Germania non è un isola

di Eichengreen Barry, Professore di economia e scienze politiche all'università della California a Berkeley.
Da la Repubblica di giovedì 13 gennaio 2011, pagina 24
LA CRISI dell'Europa non aspetterà e gli investitori stanno indicando che l'attuale strategia volta a tenere la Grecia e l'Irlanda lontano dai mercati, concedendo a questi paesi prestiti Fmi-Ue pluriennali, non sta funzionando. I differenziali delle obbligazioni greche e di quelle irlandesi non calano, come dovrebbero se i pacchetti di salvataggio fossero ben congegnati.


Al contrario, salgono e ciò riflette i colpi di coda politici che si sono abbattuti su entrambi i paesi e la pressione esercitata su questi due governi affinché rinegozino i termini degli aiuti esteri. Su questa strada, Grecia e Irlanda saranno seguite da altri paesi. Al contrario, gli spread stanno salendo dovunque nell'Europa periferica. La crisi avanza ancora una volta. I leader della Ue, guidati da Angela Merkel, si sono mostrati fermi solo nell'ignorare il pericolo, continuando a ribadire che i paesi che non saranno in grado di rispettare gli obiettivi di bilancio, dovranno imporre dei tagli alla spesa più incisivi — nonostante il fatto che questi tagli implichino una crescita più lenta. Se ci dovranno essere nuovi salvataggi una volta scaduto il Meccanismo Europeo per la Stabilità Finanziaria (EfsO), la condizione sarà che anche gli investitori privati condividano una parte delle perdite — anche se, conseguentemente, per i paesi più indebitati diventerà impossibile rifinanziare il debito.
Questa posizione di diniego sarà pure intransigente, ma non è coerente. Può portare soltanto a default disordinati, a sofferenze nel sistema bancario e alla propagazione del contagio ad altri paesi. Se i leader politici tedeschi sono convinti di poter preservare la loro economia come un'isola di prosperità in mari finanziari così agitati, vuol dire che hanno scordato come si naviga.
Le alternative fattibili sono due. La prima è che i leader europei potrebbero permettere a paesi come Grecia e Irlanda di iscrivere a bilancio i loro già pesanti debiti e utilizzare parte delle risorse dell'Efsf a garanzia anche dei nuovi titoli obbligazionari «scontati» che i due paesi offrirebbero agli investitori in cambio delle obbligazioni esistenti. In questo modo, il loro debito diventerebbe ancora una volta sostenibile e i due paesi sarebbero in grado di adeguarsi alle nuove e più stringenti regole che entreranno in vigore dal 2013.
In alternativa, la Ue potrebbe rivedere i termini dei pacchetti di salvataggio, abbassando il tasso dall'attuale 6% per permettere a Grecia e Irlanda di difendersi. Inoltre, potrebbe triplicare le dimensioni dell'Efsf. La emissione di «e-bond» garantiti congiuntamente dalla piena fiducia e dal credito dei paesi della Ue costituirebbe un altro modo per ottenere lo stesso risultato, così come lo sarebbe permettere che i paesi in crisi scambiassero, entro un certo limite, il debito esistente con questi nuovi titoli. La Ue dovrebbe anche allentare le regole del Meccanismo Europeo di Stabilità, che succederà all'Efsf, autorizzandolo a concedere prestiti più liberamente e a tassi agevolati e recedendo dall'idea che i prestiti Messi collocheranno qualitativamente al livello più alto. Questo modo di procedere equivarrebbe a un trasferimento di risorse dalla Germania e da altri paesi del nudeo Ue verso i paesi in crisi e costituirebbe un primo passo verso una unione fiscale. ll costo — il 3% circa del Pil cumulato di Germania e Francia — equivarrebbe a quello delle risorse necessarie per ricapitalizzare le banche dei due paesi. ll fatto che queste due alternative fattibili non siano interessanti per i leader europei non risparmia loro l'onere della decisione. Pretendere che anche fare niente sia un'alternativa valida porta solo al caos.
(Traduzione di Guiomar Parada)
 

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