lunedì 10 gennaio 2011

Nelle regioni del Sud il 51% delle famiglie nel 2009 ha limitato gli acquisti, il 38% ha ridotto il pane ed il 56 la carne bovina

Crisi: una famiglia su tre costretta a “tagliare” gli acquisti alimentari. Nel 2010 consumi al palo
10 Gennaio 2011 - 14:42
La Cia Confederazione Italiana Agricoltori, in merito all’indagine della Confcommercio (“che inquadra perfettamente l’attuale difficile situazione”), evidenzia i problemi che si riscontrano per allestire la tavola. Le ristrettezze economiche, nel 2009, hanno spinto tre famiglie su cinque a modificare il menù quotidiano, mentre oltre il 30 per cento compra esclusivamente “promozioni" commerciali.


Anche a tavola la crisi fa sentire i suoi effetti negativi. Nel 2009 una famiglia su tre è stata costretta a “tagliare” gli acquisti alimentari, mentre tre su cinque hanno dovuto modificare il menù quotidiano e oltre il 30 per cento è obbligato, proprio a causa delle difficoltà economiche, a comprare prodotti di qualità inferiore. Analoga la percentuale di chi si rivolge ormai esclusivamente alle “promozioni” commerciali che sono sempre più frequenti soprattutto nella Grande distribuzione. Una tendenza che, secondo le prime stime, sembra consolidarsi anche nel 2010, anno in cui i consumi alimentari sono rimasti praticamente al palo. E’ quanto sottolinea la Cia - Confederazione italiana agricoltori in merito all’indagine svolta dalla Confcommercio che “inquadra perfettamente una situazione assai complessa”.

Sul fronte dei “tagli” si riscontra, in particolare, che, nel 2009, il 41,4 per cento delle famiglie italiane (come si ricava anche dalle rilevazioni dell’Istat e dell’Ismea) ha ridotto - afferma la Cia - gli acquisti di frutta e di verdura, il 37 per cento quelli di pane e il 38,5 per cento quelli di carne bovina.

Se, invece, si analizza la ripartizione geografica, si rileva - sostiene ancora la Cia - che, sempre nel 2009, nelle regioni del Nord il 32 per cento delle famiglie ha limitato gli acquisti (il 39 per cento ha ridotto le “voci” pane e pesce); in quelle del Centro la percentuale di chi ha tagliato i consumi sale al 37 per cento (il 38 per cento ha ridotto il pane, il 46 per cento il pesce, il 42 per cento la carne bovina). Mentre nelle regioni del Sud si arriva al 51 per cento (il 38 per cento ha ridotto il pane e il 56 per cento la carne bovina).

Per quanto concerne la scelta di prodotti di qualità inferiore, l’orientamento delle famiglie, a livello nazionale, ha riguardato il pane per il 40,2 per cento, la carne bovina per il 46,2 per cento, la frutta per il 44,5 per cento, gli ortaggi per il 39,7 per cento, i salumi per il 32,5 per cento.

Nel 2009 per riempire il carrello alimentare ogni famiglia italiana ha speso in media al mese 461 euro. Una spesa (che rappresenta il 18,9 per cento di quella totale e raggiunge complessivamente i 146 miliardi di euro l’anno) assai diversificata per aree geografiche: al Nord -afferma la Cia- è pari a 455 euro, al Centro a 472 euro, al Sud a 463 euro.

La Cia fa notare che è aumentata la percentuale di famiglie (10,6 per cento del totale) che ha acquistato prodotti agroalimentari presso gli hard-discount dove la spesa è a prezzi più contenuti. Comunque, gli iper e i supermercati restano i punti vendita dove si ha la maggiore concentrazione degli acquisti da parte degli italiani con il 68,4 per cento (specialmente nel Centro-Nord con il 73 per cento).

Le stime per la spesa alimentare nel 2010 evidenziano -rimarca la Cia- consumi ancora fermi, se non addirittura in calo. In particolare, dai primi dati a disposizione si registrano, sotto il profilo della quantità, flessioni del 2,3 per cento per la carne bovina, dell’1 per cento per i prodotti ittici, dello 0,4 per cento per gli ortaggi, dello 0,5 per cento per i vini e gli spumanti, dell’1,8 per cento per il pane, del 2,1 per cento per la pasta. Dovrebbero, invece, risultare in crescita le carni suine e i salumi (più 0,7 per cento), le carni avicole (più 0,5 per cento), la frutta (più 0,8 per cento), l’olio d’oliva (più 1,8 per cento) il latte e i suoi derivati (più 0,8 per cento).
 

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