venerdì 14 gennaio 2011

Notizie Federali del Mattino, 14 gennaio 2011

1. Alto Adige, Tommasini (Pd): Belluno chieda l'autonomia
2. Milano è troppo africana, tanti cortei quanti in Maghreb
3. Belluno, ecco le ragioni economiche della fuga in Trentino a.a.
4. Belluno aspetti il federalismo
5. Serrata dei comuni contro il patto, sindaci dal prefetto
Sezione affetti da cretinismo:
6. Sindaco veneto cita Napoli per danni: “I turisti non vengono più in Italia a causa dei rifiuti”, ma perde
7. Ghedini: “La Corte Costituzionale ha equivocato la legge”
8. L'inno del Napoli a Gigi D'Alessio?
9. Come natura crea Cirio conservava
10. Lega nord: “La Corte Costituzionale è ostile al governo: andremo avanti”


Alto Adige, Tommasini (Pd): Belluno chieda l'autonomia
Referendum per l’annessione, già Durnwalder aveva detto no. Soluzione autonomista anche per Bressa. D'accordo anche il vicepresidente del consiglio regionale veneto Toscani
BOLZANO. Referendum bellunese volto a far passare la provincia veneta alla regione Trentino - Alto Adige. Il vicepresidente della giunta provinciale altoatesina, Christian Tommasini, commenta: «Mi pare che i bellunesi non credano sul serio che il federalismo portato avanti dalla Lega Nord produrrà veramente degli effetti positivi. Piuttosto, chiedano l'autonomia, una prospettiva realisticamente molto più concreta e realizzabile». Gli fanno eco dal Veneto: «Grande rispetto per i ventimila firmatari, ma le soluzioni ai nostri problemi si chiamano autonomia». Lo ha dichiarato il vicepresidente del consiglio regionale veneto Matteo Toscani. «La carenza di risorse e di autonomia - ha spiegato - si può risolvere solo con l'attuazione del federalismo fiscale e con il riconoscimento della specificità della nostra provincia all'interno del nuovo statuto regionale, con le conseguenti leggi attuative».
«Il mio rispetto per i promotori di questa iniziativa e, in particolare, per i tanti cittadini che l'hanno sottoscritta e che ora la sostengono, mi porta innanzitutto ad interrogarmi su quali sono le ragioni di questo evidente malessere sociale - afferma Toscani - la montagna è in difficoltà e necessita di iniziative adeguate». «Dopo quindici anni da sindaco di un comune di montagna, penso di conoscere gli aspetti più preoccupanti - aggiunge - viviamo in un territorio con una popolazione sempre più anziana, le terre alte rischiano di essere abbandonate, soffriamo la concorrenza di vicini ricchi e potenti, abbiamo strade e servizi a volte inadeguati, il settore manifatturiero è in crisi e il turismo non decolla, nonostante la straordinaria bellezza delle Dolomiti». Per Toscani, «è dunque comprensibile che molti bellunesi guardino con un po' di invidia alle realtà a statuto speciale a noi vicine». Perchè - si chiede - «non possiamo godere anche noi delle stesse condizioni dei trentini e degli altoatesini, visto che viviamo in un territorio di confine e interamente montano? Perché loro possono avere finanziamenti a fondo perduto per rimodernare gli alberghi o per avviare una attività e noi no? Perché loro possono avere un sostegno economico per ogni figlio e noi no? Perché loro possono permettersi strade sempre più scorrevoli e servizi sempre più efficienti e noi no? A ben vedere, però, tutti questi problemi possono essere riassunti in due storiche carenze: di risorse economiche e di autonomia politica e amministrativa». Per il vicepresidente la terapia non è il referendum: «Non solo per la complessità dell'iter legislativo, aggravata dalle tutele costituzionali degli statuti delle due province autonome e dal trattato internazionale De Gasperi-Gruber, ma anche per la posizione di Trento e Bolzano».
«L'annessione di Belluno a Bolzano non avverrà mai», aveva infatti dichiarato il presidente Luis Durnwalder qualche giorno prima di natale. Il governatore altoatesino aveva gelato i sogni dei referendari e non aveva rinunciato a un pizzico di polemica con un centrodestra che promette la soluzione di ogni male con il federalismo fiscale. «Anziché chiedere l'annessione al Trentino Alto Adige, che in sostanza è una provocazione, i bellunesi chiedano l'autonomia». Anche il deputato Pd Giancarlo Bressa, ex sindaco di Belluno da tempo eletto a Bolzano, lo aveva sostenuto con convinzione: «La strada dell'autonomia è l'unica percorribile». (da.pa)
13 gennaio 2011
Milano è troppo africana, tanti cortei quanti in Maghreb
Il vicesindaco di Milano, Riccardo De Corato, lancia l’allarme: Milano è troppo “africana”, in tre giorni ci sono tre cortei di africani, come fossimo il Maghreb.
“In tre giorni – dice De Corato – da sabato 15 a lunedì 17 gennaio, a Milano si terranno tre presidi che riguardano problematiche degli immigrati stranieri. E che dovranno necessariamente comportare l’impiego di pattuglie della polizia locale, interventi sulla viabilità, anche se non si prevedono oceaniche adunate. Va bene che Milano è una città multietnica. Va bene che a Milano circa uno straniero su quattro è africano (47mila su 212 mila residenti). E che la componente afroasiatica (122.685 presenze) è cresciuta del 2.154 per cento negli ultimi trent’anni, quando era rappresentata solo da 5.442 soggetti (2.983 asiatici, 2.459 africani)”.
“Ma mi chiedo – prosegue – se l’agenda dei problemi milanesi debba essere costantemente sintonizzata con quello che accade sull’altra sponda del Mediterraneo, dalla questione tunisina alle rivendicazioni berbere sulla Libia. Che avranno, per l’amor del cielo, un’indubbia dignità di attenzione. Ma che non so quanto possano interessare i milanesi”.
13 gennaio 2011 | 16:05
Belluno, ecco le ragioni economiche della fuga in Trentino a.a.
Sono fortissimi i vantaggi economici riservati ai Sindaci delle provincie di Trento e Bolzano rispetto a quelli di Belluno. Una disparità di trattamento che ha indotto il Consiglio provinciale di Belluno a decidere la “fuga” in Trentino Alto Adige alla ricerca di più autonomia e maggiori risorse. I dati emersi dalla comparazione realizzata dalla CGIA di Mestre sono evidentissimi: la media procapite che un Sindaco della provincia di Bolzano ha ricevuto nel 2008 (ultimo anno disponibile) in termini di entrate totali è pari a 2.454 euro. Va addirittura meglio per i primi cittadini della provincia di Trento: 2.572 euro. Molto più contenuti, invece, i valori medi riferiti ai Comuni della provincia veneta: il dato pro capite delle entrate totali è pari a 1.337 €.
 “In pratica – commenta Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA di Mestre -, mediamente un Sindaco della provincia autonoma alto atesina dispone ogni anno del 78,2% in più di entrate pro capite rispetto ad un collega bellunese. Un primo cittadino trentino, invece, riceve addirittura l’86,8% in più di un Sindaco della provincia di Belluno. Differenziali che, onestamente, indurrebbero chiunque a chiedere il trasferimento nelle aree che presentano un trattamento economico indubbiamente più generoso”.
Analizzando anche le spese registrate dai Comuni delle 3 province, le differenze sono notevolissime.
Se la spesa media procapite a Bolzano è di 2.488 €, a Trento raggiunge i 2.627 €: a Belluno, invece, si ferma a 1,401 €.
Sempre confrontando in termini percentuali le due realtà autonome con Belluno, risulta che mediamente i Sindaci di Bolzano spendono il 77,5% in più di quelli veneti, mentre i trentini possono spendere addirittura l’87,5% in più.
“Queste disparità di trattamento – conclude Bortolussi - trovano la loro giustificazione nella piena autonomia che dispongono le 2 province di Trento e Bolzano. Per questo ritengo che, con l’Europa dei 27, le ragioni storiche, culturali e linguistiche che hanno portato al riconoscimento della specialità di questi territori non abbiano più senso”.
Tornando all’analisi dei dati, sottolineano dalla CGIA, è interessante esaminare anche le voci che compongono le entrate e le spese totali. Significativo il risultato che emerge dalla lettura dei trasferimenti correnti: se a Bolzano il dato raggiunge i 778 € pro capite (+182,7% rispetto alla media di Belluno), a Trento si attesta sui 766 € (+178,5% sulla media di Belluno). I comuni della provincia veneta ricevono, invece, solo 275 € pro capite.
Sul fronte delle spese, invece, è degna di nota la disparità di trattamento esistente alla voce “Sviluppo economico”. Ovvero, le misure a sostegno delle attività produttive. Ebbene, se a Bolzano il valore medio è pari a 143 € pro capite (+730,1% sulla media di Belluno), a Trento scende a 107 € (+519,8% rispetto a Belluno), per collocarsi su un misero 17 € pro capite a Belluno.
Belluno aspetti il federalismo
di Luca Zaia
Quando leggo delle legittime richieste separatiste della Provincia di Belluno, non posso non pensare, ancora una volta, all’urgenza di dare al Veneto l’autonomia di cui ha bisogno e che si merita. Mi rendo conto, da convinto federalista quale sono, che per un cittadino che si senta vittima di un’ingiustizia decennale è difficile mantenere i nervi saldi. Lo è ancor di più farlo nel pieno della crisi economica, senza cedere alla tentazione di saltare in groppa al primo “cavallo” che passa e che si ritiene - a volte erroneamente - essere il più veloce. Proprio questo, invece, è il momento della pazienza e della determinazione.
Il mio pensiero va ai bellunesi, cui ho il dovere di dire, da presidente della Regione del Veneto, che anche il territorio che abitano avrà vita nuova con il federalismo, per il quale abbiamo lottato e lottiamo oggi con rinnovata forza e convinzione.
Portare a conclusione l’iter legislativo per separare la provincia di Belluno dal Veneto ed annetterla al Trentino Alto Adige, infatti, potrebbe essere un processo più lungo di quanto non sia quello di attuazione del federalismo fiscale.
Il primo richiede una modifica della Costituzione.
Il secondo, considerato a ragione come la madre di tutte le riforme di cui l’Italia e il Veneto hanno bisogno, arriverà al suo rush finale dopo il confronto politico in corso e dopo anni di battaglie da parte di chi, come me, era ed è convinto che il patto che tiene uniti i diversi territori italiani vada riscritto.
Le ragioni dell’autonomia riconosciuta al Trentino sono ritenute, da alcuni, come appartenenti ad epoche ormai lontane. Oggi, l’i niezione di modernità irrinunciabile per il Paese non consiste nel rendere il Trentino meno “speciale”, ma nell’accrescere il livello di autonomia delle altre regioni. A questo serve il federalismo, che introduce rivoluzionari principi di rispetto per chi ha le carte in regola per fare da solo, come il Veneto, e di sostegno a coloro che non possono farcela e hanno bisogno di attingere ai fondi dello Stato. Lo dico perché mi pare che esista una strana somiglianza fra la vicenda di Belluno e la favola che racconta la tormentata storia d’amore di un principe impaziente, che corteggiò la sua amata per 99 giorni e, al centesimo, cedette alla stanchezza, se ne andò via senza nemmeno voltarsi e senza accorgersi così che la finestra cui aveva rivolto lo sguardo stava finalmente per aprirsi.
Quella finestra sul futuro, per noi veneti, è il federalismo.
Bisogna continuare a lavorare per questa riforma, che darà alla nostra Regione tutta l’autonomia che sa gestire e di cui ha bisogno per ottimizzare il livello di efficienza ed efficacia dei servizi, per aprire nuove opportunità di finanziamento alle imprese e restituire così ai veneti, bellunesi compresi, ciò che generosamente hanno dato all’Italia in tanti anni di storia. Noi vogliamo e possiamo farcela da soli. L’autonomia dei territori, come ha affermato il Capo dello Stato Giorgio Napolitano, è una necessità e non si contrappone all’unità del Paese. Ma essa va gestita e attuata senza improvvisazioni, rinsaldando, sulla base di regole nuove, i territori dall’”idem-sentire”, che condividono storia, identità e cultura.
Un divorzio territoriale, oggi, avrebbe poco senso e rischierebbe di innescare una reazione a catena al termine della quale il Trentino otterrebbe uno sbocco al mare.
Perché stravolgere la geografia identitaria, prima che territoriale, del Nord Est vanificando tutti gli sforzi fatti finora per il federalismo? E’ un traguardo per il quale abbiamo lavorato insieme. Dobbiamo continuare a farlo, sempre uniti, per raccoglierne i frutti al più presto.
Serrata dei comuni contro il patto, sindaci dal prefetto
Vertice ieri in prefettura tra i sindaci ribelli e il prefeto Adinolfi: mercoledì prossimo chiuderanno ancora i municipi di Santa Lucia, Caerano, Giavera, Casale e Maserada.
Vertice ieri in prefettura: i comuni di Caerano, Giavera, Casale, Santa Lucia e Maserada hanno confermato la seconda serrata per mercoledì prossimo. Resteranno aperti solo gli sportelli "eesenziale" come l'anagafe.
Il prefetto Adinolfi scriverà al ministero per sensibilizzarlo del problema dei municipi soffocati dal Patto di stabilità.
In programma vertice allargato con tutti i 95 Comuni della Marca.
Replica dei sindaci al procuratore Fojadelli, che aveva ipotizzato il reato di interruzione di pubblico servizio: "Abbiamo garantito i servizi essenziali"
13 gennaio 2011
Sindaco veneto cita Napoli per danni: “I turisti non vengono più in Italia a causa dei rifiuti”, ma perde.
Si era rivolto alla giustizia chiedendo di veder riconosciuti i ”danni d’immagine” per l’emergenza rifiuti a Napoli e in Campania, ma ha perso la causa il sindaco di Montegrotto Terme (Padova), Luca Claudio, esponente de La Destra.
”I turisti non vengono più a fare i fanghi perché pensano che tutta l’Italia sia sommersa dai rifiuti”, aveva dichiarato l’amministratore del comune termale per spiegare la ragione della sua iniziativa, partita nel luglio 2009. Oggi però il tribunale di Este (Padova) gli ha dato torto, e ha condannato l’amministrazione di Montegrotto Terme al pagamento delle spese legali, 25 mila euro. Il Pd locale ha già annunciato l’invio di un esposto alla Corte dei Conti perché siano i componenti della Giunta del comune guidato da Dario – non nuovo ad iniziative eclatanti – a pagare la parcella degli avvocati e le spese legali sostenute per la causa.
13 gennaio 2011 | 20:06
Ghedini: “La Corte Costituzionale ha equivocato la legge”
“La legge sul legittimo impedimento nel suo impianto generale è stata riconosciuta valida ed efficace e ciò è motivo evidente di soddisfazione”.
Lo scrivono in una nota congiunta Niccolò Ghedini e Piero Longo, avvocati di Silvio Berlusconi, aggiungendo però che ”nell’intervenire su modalità attuative, la Corte Costituzionale sembra avere equivocato la natura e la effettiva portata di una norma posta a maggior tutela del diritto di difesa e soprattutto della possibilità di esercitare serenamente l’attività di governo, non considerando la oggettiva impossibilità, come dimostrato dagli atti, di ottenere quella leale collaborazione istituzionale già indicata dalla Corte stessa, con una autorità giudiziaria che ha addirittura disconosciuto legittimità di impedimento ad un Consiglio dei Ministri”.
”Comunque – concludono Ghedini e Longo – le sentenze della Corte debbono essere ovviamente rispettate e sarà possibile comprenderne la reale portata nella pratica attuazione soltanto dopo aver letto la motivazione”.
13 gennaio 2011 | 17:48

L'inno del Napoli a Gigi D'Alessio?
I tifosi lo bocciano in tronco sul web
Coro di no all'idea di De Laurentiis. Molti gli affezionati al vecchio inno di D'Angelo, altri vorrebbero «Napul'é»
NAPOLI - Un «coro» di no, almeno per il momento, all’idea di cantare il nuovo inno del Napoli, che il presidente De Laurentiis ha commissionato a Gigi D’Alessio. La notizia tiene banco tra i tifosi ma il clima intorno all’idea del patron azzurro non è dei migliori. Sono molti i segnali in questa direzione, e tutti univoci.
Partiamo dal sondaggio proposto dal Corrieredelmezzogiorno.it: tra l’idea del nuovo inno e la canzone «Il ragazzo della curva B» di Nino D’Angelo prevale quest’ultimo con l’85% dei voti, e c’è da specificare che i tifosi della curva A sono da sempre, per ovvie ragioni, contrari ad intonare il classico pezzo dell’ex caschetto.
Su facebook va ancora peggio: il primo gruppo che si oppone all’idea di affidare a D’Alessio il nuovo inno è già a quota 270 adesioni, mentre sommando coloro i quali sostengono l’analogo obiettivo degli altri 10 gruppi sorti in poche ore dopo l’anticipazione del Corrieredelmezzogiorno.it si arriva a circa 1.000 «no» all’idea del presidente.
Dibattito apertissimo con record di commenti e contatti su Il Napolista, sito web cult dei tifosi azzurri, dove la contrarietà al nuovo inno by Gigi D’Alessio assume proporzioni plebiscitarie, espresse attraverso commenti spiritosi e pungenti. C’è perfino chi ha composto una poesia in merito: «L’inno nuovo vuoi far fare - verseggia Bruno Fabbrini rivolgendosi direttamente a De Laurentiis - lo dobbiamo noi approvare, deve farci emozionare per poterlo poi cantare. Ma ‘O surdato ‘nnammurato non può essere scordato, l’inno nostro è sempre stato, prima, o dopo, va cantato!».
C’è chi preferisce Pino Daniele, chi si oppone per rispetto della tradizione, e chi invece proprio non riesce ad accostare il sound di D’Alessio alla napoletanità piena e cristallina che dovrebbe caratterizzare un eventuale nuovo inno della squadra azzurra. Intanto, filtrano indiscrezioni inedite sulla telefonata tra D’Alessio e De Laurentiis, avvenuta pochi giorni fa. Il presidente ha chiesto all’artista la disponibilità a comporre l’inno, ricevendone una risposta positiva. La conoscenza tra i due risale a circa cinque anni fa, quando de Laurentiis propose a D’Alessio di partecipare ad uno dei suoi «cinepanettoni». La prima risposta fu un sì, ma poi Gigi ci ripensò e declinò l’invito, temendo che le sue capacità di recitazione non fossero all’altezza della sua fama di cantante. E chi sa che anche questa volta il progetto non resti solo sulla carta.
Ad ogni modo, la frattura tra una gran parte del tifo napoletano e l’ex cantante neomelodico deriverebbe dal 27 luglio 2004, quando al San Paolo fu organizzata la serata dell’orgoglio napoletano per salvare il club dal fallimento. Atteso da 40mila spettatori, D’Alessio non si presentò per un impegno imprevisto e fu rimpiazzato all’ultimo minuto dal più amato Nino D’Angelo. Sembra, tra l'altro, che nel concerto di Pino Daniele a Piazza del Plebiscito nel luglio 2008 Gigi fu fischiato in un duetto con l’autore di «Napul’è» (che molti tifosi azzurri vorrebbero proprio come inno) su iniziativa di alcuni supporter della curva B.
Carlo Tarallo
13 gennaio 2011
Come natura crea Cirio conserva
La Cirio dice addio alla Campania chiude anche l'ultima fabbrica
di Gigi Di Fiore
NAPOLI (13 gennaio) - «Tengo ’o core italiano», recita un estasiato Gerard Depardieu pregustando un fumante piatto di spaghetti condito da rosso pomodoro San Marzano mentre risuonano le note di «Chist’è ’o paese d' 'o sole». Uno spot in dialetto napoletano, inventato due anni fa per una campagna pubblicitaria voluta dal gruppo cooperativo «Conserve Italia» a promuovere il marchio Cirio.
Ma ormai, dopo 110 anni di radicamento tra Napoli e Salerno, di campano in quel glorioso marchio resta solo la frase dell’attore francese. E lo spot. Noblesse oblige. Gli scampoli rimasti di quell’eredità stanno per chiudere i battenti a Caivano. Lì, c’è l’ultimo stabilimento che si fregiava della grande scritta Cirio sponsor del Napoli di Maradona. Da tre anni, è stato acquistato dalla società «Effequattro» di Sarno. Pietro Franzese, seconda generazione di una famiglia napoletana che da oltre 30 anni è nel settore conserviero, ne è guida con i fratelli.
Dichiarò nel 2008: «Il nostro interesse per l’ex Cirio di Caivano nasce dalla volontà di ampliare la produzione. Eppure, ci hanno accolto con ostilità sindacati e operai». Alla luce delle notizie dell’ultima ora, probabilmente i calcoli di allora dei sindacati non erano sbagliati. La «Effequattro» annuncia che «a causa della crisi dei consumi, non si può garantire futuro allo stabilimento di Caivano». Dopo la cassa integrazione, avviata per ristrutturazione, sarebbe la disoccupazione per 70 operai fissi e 600 stagionali.
Per ora, i sindacati promuovono assemblee in attesa di incontri per scongiurare la chiusura annunciata per il 4 febbraio prossimo, giorno conclusivo della cassa integrazione. Ma quel marchio Cirio, che divenne negli anni fenomeno di costume, vicino a scomparire nel suo territorio di radicamento e adozione, resta nel cuore e nell’immaginario di almeno due generazioni campane. «Come natura crea, Cirio conserva» diceva un Carosello degli anni Settanta.
Tanto popolare tra gli adolescenti da scatenare caterve di adattamenti a doppio senso. Anche su questi dettagli si misura la notorietà di un marchio e di un’azienda. Tutto cominciò in quel Piemonte da cui sarebbe partita l’unità d’Italia. Francesco Cirio ne era figlio, nato in provincia di Asti ma al lavoro nel mercato ortofrutticolo di Porta Palazzo a Torino. Si arricchì esportando prodotti tra Francia e Inghilterra, poi nel 1856, ad appena 20 anni, si buttò sulla scoperta innovativa del francese Nicolas Appert: un metodo per conservare i prodotti agricoli in scatola.
Era la «appertizzazione», che eliminava l’aria per evitare che i prodotti si guastassero nei contenitori di latta. Torino, Parigi, poi, dopo l’unità sbarcò in Campania. Nel 1900 nasce la «Cirio società generale conserve alimentari» e gli stabilimenti fiore all’occhiello sono a Vigliena, quartiere San Giovanni a Teduccio di Napoli, dove fu fissata la sede nazionale dell’azienda fino agli anni ’80 del secolo scorso, e Pontecagnano in provincia di Salerno.
Da allora, e anche con il passaggio della società nelle mani di Pietro Signorini, il marchio si identificò con Napoli e il Vesuvio: «Pasta Cirio vera Napoli», «Caffè Cirio». A Pietro Signorini succede il fratello Paolo. Poi, nel 1970, la cessione alla Sme. L’agro-alimentare gestito con soldi pubblici, per la gioia di chi ha ceduto l’azienda. Una follia strategica e, dopo 23 anni, il cammino è inverso: la Sme cede ai privati, tra polemiche, inchieste giudiziarie archiviate e accuse politiche all’allora presidente dell’Iri in quota sinistra Dc, Romano Prodi. È Sergio Cragnotti, presidente della Lazio calcio, a rilevare il gruppo Cirio-Bertolli-De Rica.
Gli costò 400 miliardi di lire e la procura di Perugia aprì un’inchiesta scoprendo che i marchi del latte erano stati pagati zero lire. Proprio quel marchio del latte Cirio che, tra i primi, introdusse la bottiglie di vetro per confezionare il prodotto a sostituire la tradizionale busta triangolare. E sopra, una mucca stilizzata con i colori rosso e blu. Ricordi passati. Cragnotti ottenne l’archiviazione per le accuse di bancarotta impropria, uscì indenne dall’emissione di obbligazioni sul marchio Cirio e il collegamento con la cessione del settore latte alla Parmalat pagato più del dovuto. Poi, è storia di oggi: nel 2004 il marchio viene acquistato dal gruppo «Conserve Italia».
Una holding cooperativa che significa 1018 milioni di euro di fatturato, 12 stabilimenti di cui sei in Emilia-Romagna, uno in Toscana e uno in Puglia, 1787 addetti, marchi come Valfrutta, Derby, Yoga, De Rica e appunto Cirio. Pomodori, ortaggi, frutta. Tre anni fa, l’ultima presenza visibile in Campania passò alla «Effequattro». Se chiudesse Caivano, l’unico stabilimento Cirio ancora in vita in Italia resterebbe vicino Piacenza.
Sì, «o’ core italiano» è diventato parte di una holding di 55 coop con interessi e sede a Bologna. Il Vesuvio ed il dialetto napoletano restano solo un marchio d’immagine per produzioni possibili ovunque. È l’economia globale. Con buona pace di nostalgici e romantici.
Lega nord: “La Corte Costituzionale è ostile al governo: andremo avanti”
I giudici sono ostili al governo. Il commento della Lega alla sentenza sul legittimo impeidmento è duro: ”Dalla Corte Costituzionale non c’era da aspettarsi altro: sapevamo benissimo che la maggioranza dei giudici della Corte ha un atteggiamento ostile nei confronti dei provvedimenti voluti da questo governo”.
E non è la frase forte sfuggita di bocca a caldo, ma il testo, pensato e limato, di un comunicato ufficiale La nota congiunta è dei capigruppo della Lega alla Camera e al Senato, Marco Reguzzoni e Federico Bricolo. Nella nota si legge che comunque ”non c’è sentenza della magistratura che può bloccare l’azione dell’esecutivo”.
“La sentenza della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento non bloccherà l’azione del Governo. Il cammino delle riforme prosegue con i tempi e i modi già stabiliti e per la Lega non cambia nulla”.
13 gennaio 2011 | 18:29

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