lunedì 15 novembre 2010

Figli disoccupati e padri impiegati


Il welfare dei giovani è la famiglia
Studio della Banca d'Italia: "C'è una rete di protezione differenziata a seconda del livello dei genitori". La debolezza del nucleo familiare come unico ammortizzatore sociale: "Quanto a lungo potrà attutire gli shock negativi?"
di MARCO PATUCCHI - (15 novembre 2010)
ROMA - Dove hanno fallito governi, parlamenti e summit internazionali, ha potuto la famiglia. L'unico, vero ammortizzatore sociale che ha difeso come uno scudo gli italiani dai colpi della crisi economica globale. Soprattutto sul fronte del lavoro, come certifica uno studio della Banca d'Italia che, dati alla mano, fotografa un modello sociale efficace ma nello stesso tempo ricco di controindicazioni. "Quanto a lungo la famiglia avrà la capacità di attutire gli shock negativi? - si chiede l'istituto centrale - In secondo luogo, è equo questo modello sociale? Affidare alla famiglia un ruolo vicario rispetto alle politiche pubbliche significa ammettere che vi è una rete di protezione differenziata a seconda della famiglia d'origine". E poi quella ipoteca sul futuro del nostro Paese che fa della famiglia una sorta di gabbia, di freno generazionale: "La maggior dipendenza dalla famiglia d'origine limita la capacità dei giovani di proseguire progetti di vita autonomi, la loro partecipazione economia e sociale, la loro propensione ad abbandonare la condizione di "figlio" e assumere il ruolo di genitore. Questi sono costi per i singoli e per la collettività che nessuno ha ammortizzato". Insomma, l'ennesima constatazione che questo non è un paese per giovani e che, di fronte alla crisi, sono i padri ad aiutare i figli.
La ricerca dell'ufficio studi di Bankitalia calcola il cosiddetto jobless households rate, vale a dire la quota di
famiglie nelle quali tutti i componenti sono senza lavoro, rispetto al totale delle famiglie. "Dai nostri risultati emerge che in Italia la quota di jobless households è più contenuta rispetto agli altri principali paesi europei. Ciò dipende dalla minore presenza di famiglie con un solo componente in età di lavoro (la tipologia a maggior rischio non-occupazione) e potrebbe segnalare una più accentuata tendenza degli italiani a vivere in famiglie "allargate" (con più adulti oltre al capofamiglia e al coniuge) e a costruire un nucleo familiare solo se occupati". Nel 2009 le jobless households erano oltre 2,5 milioni, circa il 15% della popolazione di riferimento e i minori che vivevano in tali famiglie erano oltre 750mila. Per effetto della crisi, il numero dei nuclei completamente privi di lavoro è cresciuto di quasi il 10% rispetto all'anno precedente con un aumento dell'incidenza sulla popolazione di riferimento di oltre mezzo punto percentuale. All'aumento del numero di jobless households si è affiancato quello delle famiglie con un solo adulto occupato (+2,2%), mentre si è ridotto il numero di quelle con almeno due adulti occupati (-3,3%). "Questi risultati - spiega Bankitalia - indicano che gli effetti della crisi sul mercato del lavoro sono stati parzialmente ammortizzati dalla famiglia".
In tale contesto, inoltre, si ribadisce il fenomeno tristemente inedito di un Paese dove i figli non possono guardare a prospettive socio-economiche migliori rispetto a quelle dei genitori: tra il 2008 e il 2009 il tasso di occupazione della popolazione tra i 15 e i 64 anni è calato di 1,2 punti percentuali e questa flessione è ascrivibile ai figli per 0,9 punti e ai capifamiglia per solo 0,3. "In altri termini, nonostante i figli rappresentino circa un quinto del totale degli occupati, hanno contribuito per quasi il 70% alla variazione negativa del tasso di occupazione complessivo". Secondo Bankitalia, dunque, la crisi ha colpito prevalentemente i giovani che vivono in famiglia, "mentre l'occupazione dei capofamiglia ha mostrato segnali di maggiore tenuta. Tali risultati riflettono non solo la maggiore incidenza dei contratti di tipo precario tra i giovani, ma anche un sistema di protezione del lavoro che favorisce chi ha contratti di lavoro più stabile, prevalentemente del settore industriale, e che di fatto risulta fortemente segmentato su base generazionale".

E infine due tendenze che rappresentano ormai la cifra del nostro Paese: i ritardi del Sud e la diffusione del precariato. Nel Mezzogiorno l'indicatore delle famiglie a zero lavoro è superiore di dieci punti percentuali rispetto al Centro Nord: "Ciò riflette anche le diverse strutture familiari tra le due aree. Nelle regioni meridionali è, infatti, significativamente inferiore la quota di famiglie con almeno due occupati e, pertanto, è maggiore la probabilità di diventare una jobless household in conseguenza di uno shock negativo". E ancora: "La caduta dell'occupazione - sottolinea Bankitalia - ha riguardato prevalentemente i lavoratori atipici (contratti a termine e collaboratori) e si è manifestata soprattutto attraverso una contrazione delle assunzioni piuttosto che in un aumento dei licenziamenti. Di conseguenza, ne hanno risentito maggiormente i giovani che si sono affacciati sul mercato del lavoro in una situazione in cui la domanda è bruscamente crollata e quelli che erano occupati con contratti di lavoro atipici".
Fonte:
http://www.repubblica.it/economia/2010/11/15/news/patucchi_inchiesta-9120145/?rss

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