domenica 21 novembre 2010

I rifiuti? Napoli si arrangi


di Giampaolo Pansa
Non vorrei vedere Napolitano in camice bianco, almeno lui le corna non le farebbe

Che cosa aspettano i napoletani? Il bis di quanto accadde nell’estate 1973? Attenzione, non ho sbagliato a scrivere la data. Parlo di un’epoca non troppo lontana. Me la rammento bene perché allora ero uno degli inviati del Corriere della sera. All’inizio di luglio, il dicì Mariano Rumor varò il suo quarto governo, un quadripartito. E una decina di giorni dopo si trovò alle prese, lui che era di Vicenza, con un problema mai risolto in Italia: i guai di Napoli.
Per prima emerse la rivolta del pane. Un giovane di oggi si chiederà, incredulo: una sommossa per il pane nel 1973? E invece ecco come andò. Il comitato provinciale dei prezzi aveva fissato a 160-190 lire il costo di un chilo. I panificatori napoletani lo ritennero troppo basso e decisero una serrata totale. Il pane cominciò a scarseggiare, quindi mancò del tutto.
Lo si trovava soltanto alla borsa nera, venduto a cifre folli, che arrivavano a 1200 lire al chilo. Ci furono tre giorni di durissime proteste. Poi si trovò un rimedio, non ricordo quale, e in città ritornò la calma.
Fu una tranquillità di breve durata. Alla fine di agosto del 1973, sempre a Napoli, esplose il colera. La causa era una sola: il degrado igienico-sanitario della città. Nei giorni successivi, l’epidemia si sviluppò anche a Bari, in altri centri del Mezzogiorno e in Sardegna. Alla fine i morti di colera risultarono una trentina. In tempi più lontani sarebbero stati centinaia, forse migliaia.
Non ricordo se a Napoli, nell’estate 1973, le strade fossero coperte di rifiuti come accade oggi. Penso di no. Ma il colera è una brutta bestia e soltanto a nominarlo incuteva paura a tutti. Fece paura anche al presidente della Repubblica, Giovanni Leone, napoletano. Lo scrivo con molto rispetto per lui, un politico democristiano preso a calci in faccia dalla stampa cosiddetta democratica, come succede oggi a Silvio Berlusconi.
Tuttavia Leone, insediato al Quirinale da meno di due anni, non poteva esimersi dal visitare i colerosi della sua città. Il 7 settembre 1973 arrivò a Napoli e andò nell’ospedale dove erano ricoverati i malati di colera. Credo fosse il Cotugno. I medici gli fecero indossare un lungo camice bianco, completo di cuffia e di mascherina. Leone fece il giro dei reparti. Con una mano salutava i degenti. Con l’altra, tenuta dietro la schiena, faceva un gesto di scongiuro: le corna.
I direttori dei quotidiani esclamarono: «Impossibile! È soltanto una calunnia, un falso inventato da un avversario del presidente». Invece era vero. Un settimanale, il Candido di Giorgio Pisanò, pubblicò la fotografia di Leone, ripreso di spalle mentre si aggirava per il Cardarelli. Un cerchio rosso metteva in risalto le corna del presidente, una misura anti-iella che Leone riteneva efficace. E infatti le aveva già mostrate, con entrambe le mani spinte in avanti, agli studenti di Pisa che lo contestavano.
Che cosa dovrebbero fare, oggi, gli abitanti di Napoli, con le strade invase da tonnellate di rifiuti? Limitarsi agli scongiuri nella speranza che il pattume non gli porti di nuovo il colera? No, penso che dovrebbero fare cose assai diverse. Avverto i lettori che sto per scrivere parole spiacevoli. Ma non posso evitarlo, perché la mia educazione di ragazzino del dopoguerra è stata dominata da un verbo: arrangiarsi.
È stato l’imperativo categorico che risuonava di continuo in casa nostra. Mio padre, mia madre, e soprattutto la mia nonna analfabeta, cercavano di aiutare noi bambini, ma soltanto fino ad un certo punto. Poi ci dicevano: arrangiati! Prova a fare da solo, non chiedere sempre soccorso, datti una mossa e cerca di risolvere il tuo problema senza chiamare sempre la Crocerossa. Nel nostro caso, era la nonna che, tuttavia, si mostrava anche più dura. Aveva un motto crudele: ricordatevi che il piatto di minestra non si riempie da solo.
Perché i napoletani non provano ad arrangiarsi? Cominciando a non fare quanto stanno facendo da settimane. È da suicidi gettare la spazzatura per le strade, sperando che qualcuno la raccolga. Almeno gli scatoloni di carta o i rifiuti non deperibili potrebbero essere conservati nella cantine, sui balconi, nei garage. Invece i telegiornali ci mostrano materassi sfondati, vecchie poltrone, lavatrici e frigoriferi rotti, mobili inservibili: tutto scaraventato sulla pubblica via.
Non riesco a immaginare in che modo Napoli riuscirà a guarire dal gigantesco cancro del pattume. E come lo risolveranno altre grandi città del Sud, come Palermo, dove pare stia emergendo la stessa crisi. Da solo, nessun governo ce la farebbe mai. Mi sembra anche difficile sperare nell’aiuto dell’Italia del nord. Con i tempi che corrono, non vedo la Lega del Bossi precipitarsi al soccorso. I rifiuti di Napoli se li smazzi Napoli: questo è il pensiero delle gente dalla Toscana in su.
La verità è che siamo diventati un paese di menefreghisti. E con la vocazione all’autolesionismo. È sufficiente entrare a Roma dalla via Nomentana per vedere, in piccolo, lo spettacolo desolante di Napoli. Uno sfasciume circondato dai rifiuti e reso grottesco da un’infinità di vecchi manifesti elettorali, strappati e ricoperti da schizzi di fango o di altre sostanze immonde. Ecco il biglietto da visita della capitale d’Italia.
Dobbiamo rassegnarci ad aspettare di nuovo il colera? Non vorrei proprio vedere Giorgio Napolitano visitare gli ospedali, difeso da una tuta bianca. Certo, il nostro presidente non farebbe mai le corna, pur essendo anche lui nato sotto il Vesuvio. Ma è una magra consolazione.
sabato, 20 novembre 2010
Commentino - non merita sforzi maggiori - , di grecanico.
Come insegna il periodo corrente, c'e' modo e modo di invecchiare. Due di questi sono la decadenza fisica, e quella cerebrale. Inutile dire che nell'incipit c'e' la risposta che riguarda Pansa.
Me lo ricordo Leone, come ricordo quello che ha dovuto passare, anche per il vizio delle corna. Quale vizietto ha Lei, Pansa?
Me lo ricordo il colera a Napoli. Poi – molto tempo dopo – il CNR svelo' che il batterio era d'importazione, una partita di cozze sfuggita al controllo della dogana, proveniente dalla Spagna, o da qualche paese simile. Dell'igiene maniacale delle case napoletane, come dei suoi negozi, Pansa non ne percepisce un cazzo. E se non e' riuscito a captarla sino ad ora, puo' crepare con le sue convinzioni da cronista cecato dall'infanzia. Che  - detto inter nos - e' un'ottima condizione psicofisica per fare carriera nei giornali italiani.
Infine, l'Arte dell'Arrangiarsi, che meriterebbe un'analisi tecnica, per le sue notevoli qualita'. Come dei campi di applicazione che questa metodologia ha impregnato in questi ultimi decenni. Adesso il decadente cerebrale la ascrive alle qualita' della sua famiglia, come paradigma delle famiglie piemontesi, che sono il modello di tutto il nord. E lo fa con vanto. Strano, sino ad ieri l'espressione era utilizzata, con dileggio e soperchieria, per incorniciare i meridionali in genere, ed i napoletani in particolare. Mischia la realta' contestuale con la fantasia del senile, e' cecato.
La decadenza cerebrale e' senilita' del cervello. Che puo' manifestarsi gia' in tenera eta', come l'Alzheimer.
Fonte: 
http://www.ilriformista.it/stories/Prima%20pagina/299938_i_rifiuti_napoli_si_arrangi_di_giampaolo_pansa/

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