mercoledì 15 dicembre 2010

Corte dei Conti: LA GESTIONE DELL’ EMERGENZA RIFIUTI IN CAMPANIA

CORTE DEI CONTI, SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA CAMPANIA
LA GESTIONE DELL’ EMERGENZA RIFIUTI IN CAMPANIA
Indagine di controllo approvata nell’adunanza del 28 settembre 2010
Magistrato istruttore Cons. Francesco UCCELLO (relatore)
Coordinamento amministrativo ed analisi economico-finanziarie dott. ssa Concetta PORFIDO
Revisione contabile ed attività di supporto Rag. Maria Rosaria CAROSELLA

Considerazioni conclusive
Il lungo periodo di Commissariamento nel settore dei rifiuti in Campania è stato contrassegnato da crisi acute e ricorrenti riconducibili ad una ragione di fondo: la mancanza di un ciclo compiuto dei rifiuti per l’assenza di adeguati impianti di supporto.
I momenti più difficili sono stati determinati, soprattutto, dall’impossibilità di stoccare (o smaltire in discarica) l’enorme quantitativo di materiale secco da incenerire (“eco-balle”) e umido da stabilizzare (FORSU), selezionato dai 7 impianti di produzione di CDR all’interno dei quali dev’essere conferita l’intera frazione regionale di rifiuti indifferenziati in vista dell’avvio dei programmati impianti di termovalorizzazione.
Le aree di maggiore criticità ambientale hanno interessato, essenzialmente, il Comune di Napoli e gran parte della conurbazione provinciale di Napoli nonché di alcune zone limitrofe della Provincia di Caserta. Il resto delle municipalità sono state colpite in modo marginale e riflesso, il che non ha impedito a queste ultime di raggiungere, in talune articolazioni territoriali, discreti obiettivi sia in termini di raccolta differenziata che di riduzione del conferimento in discarica.
Tra i fattori determinanti il persistere dell’emergenza sono da annoverare:
· gli insufficienti livelli di raccolta differenziata;
· il malfunzionamento e sovraccarico degli impianti di selezione;
· l’insufficienza degli impianti di compostaggio di qualità;
· i ritardi nella realizzazione del termovalorizzatore di Acerra;
· l’eccessivo frazionamento del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani;
· la temporanea assenza di sufficienti volumi di discarica.
Alla base delle gravi emergenze (in termini di rischi per la salute e per l’ambiente)
determinate dalla gestione rifiuti, vi è una serie di omissioni ed inadempienze.

Di questi, le principali responsabilità sono da attribuire alle molteplici incertezze normative, ad una carente programmazione (spesso aggravata da insufficiente coordinamento) nonché alla incapacità di taluni amministratori di Comuni e Consorzi di Bacino di attivare tempestivamente i fondi stanziati per la realizzazione di essenziali infrastrutture e di ottemperare ad una corretta comunicazione con le popolazioni di riferimento, così da mitigarne la naturale avversione e diffidenza verso ogni tipo di insediamento impiantistico per quanto necessario e vantaggioso se correttamente gestito.

A tali lacune non sempre ha corrisposto l’azione sostitutiva delle Strutture commissariali, necessaria soprattutto per utilizzare efficacemente i fondi stanziati ed
assicurare il normale svolgimento del ciclo dei rifiuti, specie nei casi di palesi incapacità nell’organizzazione della raccolta differenziata o di omesso pagamento della tariffa dovuta per il conferimento dei rifiuti agli impianti. Al contrario, il perdurante ricorso alla gestione straordinaria ha comportato il radicamento delle Strutture commissariali, le quali hanno assunto un ruolo “omnicomprensivo” di programmazione, attuazione e gestione dell’intero ciclo dei rifiuti, con la graduale esternalizzazione delle funzioni e la tendenza alla deresponsabilizzazione da parte dei livelli istituzionali ordinariamente competenti in materia.
Nel quadro delineato, la carenza di programmazione e di coordinamento in ordine
al modello di sviluppo della raccolta differenziata ed al relativo sistema impiantistico di
supporto rende incerta, da un lato, l’entità degli impegni economici e finanziari da
assumere in vista del raggiungimento degli obiettivi minimi di legge, dall’altro, la
soluzione operativa ottimale per concorrere efficacemente ad un assetto strutturalmente stabile ed unitario del ciclo dei rifiuti.

Il modello gestionale che ne è derivato ha assunto carattere di perdurante transitorietà, dove la raccolta differenziata, affidata provvisoriamente ai Consorzi di Bacino in attesa del subentro delle prefigurate Autorità d’Ambito, ha continuato, per lungo tempo, ad essere concepita come un elemento secondario e accessorio rispetto al servizio di raccolta dei rifiuti urbani svolto dai singoli Comuni.
E’ il caso di sottolineare che, ancor’oggi, la Regione risulta priva sia di un Programma operativo per la prevenzione e la riduzione dei rifiuti urbani sia dei Piani industriali di organizzazione del servizio di raccolta domiciliare integrata, la cui elaborazione non può che dipendere dall’adozione dei Piani provinciali d’ambito, con i quali devono trovare applicazione i criteri di localizzazione e caratterizzazione delle aree di dettaglio idonee alla individuazione e progettazione dei futuri impianti di gestione. Ai detti Piani dovrebbero far seguito i Regolamenti provinciali per l’applicazione della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani nonché i “business plan” delle neocostituite Società provinciali.
In assenza di dette pianificazioni non è, dunque, possibile definire l’assetto operativo che si intende dare al sistema né garantire l’unitarietà degli interventi nel rispetto delle variabili legate al contesto demografico, territoriale e socio-economico suscettibili di influenzare il corretto dimensionamento del servizio integrato per ciascuna tipologia di raccolta.
In disparte le richiamate lacune programmatorie, il mancato decollo della raccolta
differenziata è da ricondurre, altresì, ad una strategia sino ad ora incentrata sulla filiera del “recupero energetico” (vale a dire sulla impiantistica da CDR a supporto dei
termovalorizzatori) anziché sulla realizzazione di infrastrutture a sostegno della filiera del “recupero di materia” (isole ecologiche, impianti di selezione e valorizzazione della
frazione secca, impianti di compostaggio e digestione anaerobica nonché di recupero di
rifiuti inerti).
Il sovradimensionamento degli impianti di CDR ed il sostegno economico legato
agli incentivi CIP 6/92,138 fungendo da catalizzatore di ingenti quantitativi di rifiuti
indifferenziati, ha costituito, infatti, un disincentivo alla implementazione della raccolta
differenziata, tant’è che con la progressiva crescita di quest’ultima e la contestuale
riduzione del fabbisogno di trattamento e smaltimento dei rifiuti urbani residui (RUR), è
emersa una significativa disponibilità degli impianti stessi, con la contestuale esigenza di evitarne il sottoutilizzo attraverso il loro recupero funzionale e la riconversione ad altri usi (STIR).
Ma il più serio limite del sistema campano è costituito, tuttavia, dalla insufficienza di impianti di compostaggio e digestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti
solidi urbani (FORSU). La situazione è tale che pur attivando tutti gli impianti esistenti e
quelli progettati ed in attesa di finanziamento, si potrebbe far fronte soltanto all’ 80% del fabbisogno richiesto per supportare una raccolta differenziata di appena il 35%.
Sotto questi profili, la Campania figura come un’anomalia nel panorama delle Regioni italiane, in quanto presenta la più alta percentuale di rifiuti sottoposti a trattamento meccanico-biologico insieme a una delle più basse percentuali di compostaggio dei rifiuti organici.
Nonostante gli ingenti sforzi profusi per superare l’emergenza e perseguire gli obiettivi prioritari definiti in ambito comunitario, la Regione Campania risulta ancora priva di una gestione “integrata” dei rifiuti, la quale si realizzerà solo quando le attività di prevenzione e recupero saranno coordinate in maniera tale da conseguire un’effettiva e sostanziale diminuzione dei volumi di rifiuti da smaltire in discarica. Tale opera di
prevenzione e recupero, che riveste carattere di priorità assoluta, è risultata, sinora,
inadeguata, dal momento che:
a) i rifiuti prodotti annualmente dalla Regione hanno continuato ad aumentare almeno fino all’anno 2006;
b) la raccolta differenziata raggiunge ancora livelli assolutamente insufficienti;
c) lo smaltimento in discarica è ancora lontano dall’essere limitato ai soli rifiuti inerti nonché ai residui delle sole operazioni di recupero e riciclaggio (come già previsto dal Decreto “Ronchi”);
d) non risulta essere stato ancora raggiunto il pareggio tra la quantità di rifiuti prodotti ed i quantitativi, a qualsiasi titolo, trattati e smaltiti in ambito regionale.
Se, dunque, le numerose incertezze legate alla complessità del ciclo di gestione dei rifiuti ed alle relazioni di carattere logistico, procedurale, economico ed amministrativo, hanno impedito, sinora, di approntare un ciclo integrale dei rifiuti capace di assicurare il massimo recupero di materiali ed energia con il minimo smaltimento in discarica, la decretazione della fine dello stato di emergenza, con il passaggio alla gestione ordinaria, non può non essere occasione per un ripensamento in ordine alle prospettive future.
In proposito, andrebbe valutata l’utilità di continuare ad accumulare (con i rischi
ormai ben noti) ingenti quantitativi di “eco-balle” in attesa della realizzazione dei
progettati impianti di termovalorizzazione di Salerno, Napoli e Santa Maria La Fossa (per non considerare l’impianto aggiuntivo destinato all’incenerimento del cd. CDR
“mummificato”) a fronte della rinuncia, nel rigoroso rispetto della gerarchia europea delle priorità, ai detti impianti di recupero energetico (risultando quello di Acerra, insieme alle tre cementerie campane, ai gassificatori ed alle centrali termoelettriche già esistenti, più che adeguato al fabbisogno stimato a regime), per riconvertire gli attuali impianti di selezione e trattamento della frazione indifferenziata in funzione di un più efficace sostegno alla raccolta differenziata (come previsto, d’altronde, dalla originaria stesura dell’art. 6, comma 2, del D.L. n. 90/2008) concentrando tutte le risorse disponibili per la più efficiente ed economica indicata modalità di recupero.
Né sarebbe inutile riconsiderare se la scala ottimale per il trattamento dei residui
urbani sia costituita effettivamente da impianti di grandi dimensioni, capaci di accogliere rifiuti provenienti da vasti bacini di utenza, o non piuttosto rivolgere gli sforzi per approntare una fitta rete infrastrutturale di impianti (cd. poli territoriali di gestione
impiantistica), a basso impatto ambientale, da realizzare in prossimità dei luoghi di
produzione, così da limitare i costi di trasporto, contenere i rischi ambientali connessi alla movimentazione dei rifiuti e responsabilizzare le comunità locali affinché si facciano carico degli effetti ambientali e sociali prodotti dalle rispettive attività di gestione.
A tale riguardo, la prima opzione, da perseguirsi facendo leva sui principi della integrazione funzionale e della compensazione solidale tra ambiti diversi, richiede una
direzione strategica unitaria e non frammentaria, un forte coordinamento delle diverse
fasi di gestione, procedure operative omogenee e tempi di esecuzione ben sincronizzati,
al fine di evitare dinamiche distorsive capaci di catalizzare interessi locali inconciliabili con una gestione del ciclo dei rifiuti efficiente ed economica e potenzialmente suscettibili di confliggere con i principi comunitari dell’autosufficienza di bacino e della prossimità nello smaltimento dei rifiuti urbani.
Un ulteriore profilo attiene alla tenuta economico-finanziaria del sistema nel suo
insieme, giacché la pesante eredità lasciata dall’emergenza (costituita non solo da una
massa debitoria di oltre 2 miliardi di euro e da una condanna, a livello comunitario, che
rischia di tradursi in pesanti sanzioni economiche, ma anche da una lunga serie di costi
aggiuntivi e di rendite di posizione non più giustificabili) grava sulla praticabilità operativa di talune soluzioni prefigurate ed impone, specie se verranno meno alcuni finanziamenti statali sinora assicurati, la ricerca di alternative economicamente più sostenibili.
Sotto questo profilo, una essenziale funzione calmieratrice e perequativa può essere rivolta a strumenti di fiscalità ambientale e locale e, in particolare, alla tariffa di conferimento dei rifiuti, la quale assumerebbe connotazioni più consone alla originaria
funzione remunerativa dei soli costi di investimento e di esercizio degli impianti.
Con l’apposito Regolamento per la applicazione delle tariffe, previsto dall’art. 20 della L.R. n. 4/2007, le Province potrebbero, poi, individuare i costi relativi alle componenti essenziali del costo di gestione dei servizi ed ancorarli a standard obbligatori di qualità e quantità, così da ridurre il contenzioso e realizzare un significativo contenimento della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani di cui all’art. 238 del Codice ambientale (D.Lgs. n. 152/2006).
In quella sede non sarebbero da escludere nuove misure compensative, diverse da
quelle previste dall’art. 29 della L.R. n. 4/2007, finalizzate al ristoro del disagio ambientale sofferto dai residenti di Comuni sede di impianti di recupero e/o smaltimento
(tra queste andrebbero incentivate, accanto a forme compensative di risparmio tariffario, misure di intervento volte a migliorare la qualità ambientale del territorio e la qualità di vita dei cittadini).
Adeguate misure premiali, da attuare secondo il principio del contenimento della
tassa sui rifiuti, andrebbero assicurate, infine, anche alle utenze capaci di raggiungere
target di conferimento differenziato predeterminati. Tali incentivi sarebbero tanto più
necessari in un momento in cui la programmazione regionale per il 2010 ha richiesto, ai
Comuni delle diverse Province campane, sforzi non uniformi per raggiungere l’obiettivo
del 35% di raccolta differenziata, incidendo maggiormente su quelle realtà socioeconomiche (come ad es. la Provincia di Salerno, per la quale è fissato un target del 50%) che più di altre hanno assicurato elevati standard di differenziazione e che ora risultano penalizzate rispetto a Province (come quelle di Caserta e Napoli, i cui target sono fissati solo al 30%) che da tempo incontrano maggiori difficoltà anche solo ad avvicinarsi agli obiettivi stabiliti.
Al fine di definire i costi standard su cui basare le modalità di determinazione della
tariffa unitaria di trattamento e smaltimento, alle Società provinciali andrebbero
progressivamente affidate (così come originariamente previsto anche per i Consorzi di
Bacino) sia le attività di tritovagliatura dei rifiuti sia le attività di gestione degli impianti di stabilizzazione della frazione organica sia le discariche per lo smaltimento degli scarti di lavorazione (FOS e sovvalli), così da porle in grado di determinare il costo complessivo del conferimento dei rifiuti. Il contestuale affidamento del servizio di raccolta e trasporto consentirebbe, altresì, di definire i costi di gestione dell’intero ciclo dei rifiuti e conseguire, in tal modo, ulteriori significative economie.
Una volta superate le difficoltà attuative incontrate in questi anni nel computo della tariffa con riferimento, quantomeno, all’ammontare della parte commisurata ai costi di gestione, occorrerebbe assicurare, riguardo alla quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti da ciascun utente, sistemi di pesatura non più virtuali ed assolutamente
approssimativi come quelli attualmente in uso (metodi cd. “a vista” o “in percentuale”),
ma metodologie di rilevazione “effettiva” secondo le più diffuse tecnologie impiegate per identificare i contenitori di raccolta e quantificare i rifiuti conferiti.
Al fine di contenere al massimo i costi di gestione, si può coniugare efficacia ed economicità facendo leva sul livello di sensibilizzazione ed educazione ambientale
raggiunto dalle utenze domestiche e commerciali per intercettare frazioni sempre maggiori di rifiuti differenziati, così da ottimizzare il personale assegnato alle Società
provinciali ed evitare di sovradimensionare il numero di addetti al settore con l’impiego di risorse ultronee attualmente in dotazione ai Comuni e ad altre imprese private appaltatrici.
Superando la penalizzante frammentazione operativa del settore (attualmente organizzato in un gran numero di imprese private di raccolta e trasporto operanti su scala pressoché comunale), verrebbero favorite, altresì, le condizioni per un più razionale utilizzo, all’interno del medesimo ambito territoriale, di mezzi, attrezzature e risorse umane in funzione dell’introduzione di tipologie di servizio sempre più diversificate e flessibili.
Naturalmente, le valutazioni che precedono hanno lo scopo di offrire spunti di riflessione per la soluzione dei problemi che, per la loro gravità e complessità, richiedono la più ampia ponderazione di interessi ma anche l’impiego di competenze tecniche e gestionali qualificate, capaci di orientare e regolare l’Amministrazione in funzione del miglior soddisfacimento dell’interesse pubblico perseguito.



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