martedì 11 gennaio 2011

La Polonia non vuole l'euro. Export e zloty salvano Varsavia

11 gennaio 2011
di Donato Masciandaro
La Polonia per il momento dice no all'euro. Non è un brutto messaggio per la nostra valuta, purché faccia riflettere i suoi destinatari, che non sono certo i vertici della Bce, quando i governi europei incapaci di dare una costituzione fiscale credibile all'Unione monetaria, nonostante i recenti scossoni delle vicende greche e irlandesi.

Dal punto di vista dell'economia monetaria, tra i ventisette paesi membri dell'Unione, la Polonia si contraddistingue per almeno due caratteristiche. Dal punto di vista strutturale, la Polonia ha un robusto assetto della banca centrale e della supervisione finanziaria. Da un punto di vista congiunturale, e di conseguenza, la gestione della politica monetaria ha contribuito a far diventare la Polonia l'unico paese dell'Unione Europea a crescere nel 2009, l'anno peggiore della crisi: una crescita reale dell'1,7%, con il -4.1% della media dei paesi euro.

La Polonia ha costruito nel tempo una Banca centrale indipendente dai governi in carica, concentrata sulla stabilità monetaria. Calcolato al 2007, l'assetto della Banca centrale polacca ha un grado di conformità ai criteri internazionali d'indipendenza Gmt pari al 92%: è lo stesso livello della Bce, mentre la Bank of England non arrivava al 65%, e la Fed si fermava al 78%; va sottolineato che il livello d'indipendenza della Fed è oggi verosimilmente più basso, visto che la recente legge Dodd Frank di riforma ha aumentato i rischi di cattura di Bernanke da parte della politica.

Inoltre la Banca centrale polacca è anche indipendente dalle banche, non avendo responsabilità di vigilanza, ovvero non ha i cosiddetti poteri di micro-supervisione bancaria. La Polonia ha infatti completato il 1° gennaio 2008 una riforma della supervisione in cui è stato completamente abbandonato l'obsoleto modello di controllo con autorità multiple, sostituendolo con la figura di un unico vigilante, la Polish Financial Supervision Authority (Pfsa). Della Pfsa occorre però migliorare l'assetto istituzionale, visto che il suo livello d'indipendenza è del 52,5 per cento.

La Polonia ha dunque adottato in modo convinto sia il modello più moderno di banca centrale - indipendente e specializzata - sia di supervisione finanziaria - unificata. L'inflazione è regolarmente scesa nel decennio: nel 2000 su base annua l'inflazione e le aspettative d'inflazione erano a due cifre; nel gennaio 2007 il tasso d'inflazione e le aspettative erano rispettivamente all'1,4 e all'1,5 per cento.

L'avere una banca centrale indipendente e specializzata non solo ha migliorato le potenzialità della politica monetaria, ma non ha nuociuto alla gestione complessiva della politica economica, anche durante la crisi finanziaria. La Polonia ha affrontato la crisi con i conti pubblici ed esteri in ordine - 3% di disavanzo pubblico sul Pil, 3% di disavanzo dei conti correnti - e quindi potendo operare una robusta politica fiscale anticiclica.

La politica fiscale espansiva è stata accompagnata da una politica monetaria espansiva, con relativo deprezzamento della valuta. La domanda aggregata ha reagito positivamente; l'indebitamento pubblico ha potuto reggere la situazione eccezionale - nel 2009 il rapporto tra debito pubblico e Pil è al 50,9%, contro il 79,5% dei paesi euro. Anche l'inflazione, dopo un periodo di non sorprendente tensione, appare tornata sotto controllo: i dati mensili a ottobre 2010 segnalano una crescita del 2,6%, contro un 2% dei paesi dell'euro.

Quindi abbiamo un paese caratterizzato da un tripode desiderabile: disciplina fiscale, disciplina monetaria e vigilanza consolidata. Nessuna meraviglia perciò che al momento la Polonia non sia interessata all'Unione economica e monetaria (Uem). Dal punto di vista istituzionale l'Uem può al momento esibire solo la disciplina monetaria. La disciplina fiscale è assente, finché i governi non faranno passi decisivi verso deleghe della sovranità anche in questo campo. Finora non ci sono riusciti, nonostante i duri moniti che i mercati hanno inflitto nell'anno passato, prima nel caso greco e poi in quello irlandese.

Anche la vigilanza consolidata è assente: nonostante il palese fallimento del modello di supervisione decentrato e con autorità multiple, sempre i governi nazionali non sono riusciti ad andare oltre il debole meccanismo di coordinato "a tre teste", parte in questi giorni. La preoccupazione di fondo è che nessuna disciplina monetaria può avere lunga vita senza garanzie di disciplina fiscale e bancarie. La campana polacca ha suonato per i politici europei: se ne sono accorti?


Export e zloty salvano Varsavia
di Vittorio Da Rold
A Varsavia ieri è saltata la prevista asta dei bond perché il ministero delle Finanze ha detto che c'è abbastanza liquidità in cassa e quindi non serve andare sul mercato. Una situazione opposta rispetto alle turbolenze finanziarie che si vivono nelle Tesorerie dei paesi occidentali, in particolare in Portogallo, Irlanda e Grecia.
«Il tutto mentre il pil polacco è cresciuto del 3,8% nel 2010 e crescerà del 4,4% nel 2011 e il deficit delle partite correnti è solo di -2,8% nel 2010 e -3,5% nel 2011», spiega Marcin Mirowiec, 36enne capo economista di Bank Pekao Sa, la prima banca del paese appartenente al gruppo Unicredit per dare il polso del miracolo sulla Vistola.

Non solo. Le vendite di nuove auto e autocarri in dicembre sono aumentate del 26,2% anno su anno per 35.955 unità. Nel 2010 sono state vendute complessivamente 333.599 autovetture pari a un incremento del 4,2% rispetto al 2009.

La Polonia (Credit default swaps a 158 rispetto ai 252 dell'Italia e 357 della Spagna) ha retto bene alla crisi finanziaria grazie alla svalutazione dello zloty, l'export in ripresa e i consumi interni che invece di ridursi sono aumentati. I polacchi non si sono spaventati, anzi hanno ridotto la quota di risparmio. Un tocco salutare di ottimismo per l'economia.

Il tutto in un quadro macroeconomico solido: debito pubblico 2010 al 55% del Pil, (che si riduce però al 44% se si esclude il costo della riforma pensionistica) e comunque sotto il limite di Maastricht e meno della media Ue che viaggia al 78% del Pil. Senza contare i 60 miliardi di euro in aiuti Ue per i fondi strutturali in arrivo dal 2009 per cinque anni. A soffrire dunque non è stato né il mondo bancario o finanziario polacco, tutto sommato abbastanza poco sofisticato e con un rapporto prestiti/depositi pari a uno (in Ungheria è 1 a 30), quanto l'economia reale che ha rallentato quando i mercati europei di sbocco hanno frenato. Ma ora la locomotiva dell'est ha ripreso a viaggiare, parte con motivazioni interne, (i consumi domestici), parte per competitività agguantata in corsa (svalutazione della moneta e del debito), flessibilità del mercato del lavoro. Senza bolle immobiliari né finanziarie il paese è ripartito.

«L'inflazione corre al 3,1% nel 2010, e sarà al 3,5% nel 2011», spiega Marcin Mirowiec mentre gli analisti prevedono un rialzo dei tassi per frenare i prezzi al consumo di 25 punti nel meeting di gennaio della banca centrale. Altri problemi rispetto alla vecchio Europa occidentale che ha i cds più elevati rispetto a quelli dell'Europa centrale e orientale.



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