martedì 24 maggio 2011

Federali Mattino-25 maggio 2011. Il bel paese. E’ nelle mani d'un potere inaffidabile e irresponsabile. Berlusconi e la sua Casta di falsi liberali e di liberisti farlocchi vogliono un popolo a loro misura: riconoscente, orgoglioso d'avere un leader ricco a miliardi di euro, pieno di donne o meglio di donnine, con i tacchetti e i capelli trapiantati. Vogliono un popolo sempre disposto a ridere delle Sue barzellette, amico dei Suoi amici, nemico acerrimo dei Suoi nemici, disposto persino a presidiare il palazzo di giustizia milanese per Lui, caro lei, e ligio anche agli ordini anche di Daniela Santanché.---Verona. La minaccia degli allevatori: Fucili contro gli esattori.---Bozen. Abito tradizionale tirolese con il tricolore a festa polizia, protestano le donne tedesche.

Forza giapponesi:
Giappone. Fukushima: fusione parziale anche nei reattori 2 e 3
Il default greco colpa dell'euforia europeista
Grecia, partito opposizione respinge nuovo piano austerità
In Belgio la formazione del governo è ancora lontana
San Marino. Euroritenuta a 4 milioni e 600mila euro nel 2010
San Marino. Frontalieri, oltre la faccia ci mettiamo anche la firma. Sulla cartolina al Presidente Napolitano               

Arenile:
Bozen. Bolzano: abito tradizionale tirolese con il tricolore a festa polizia, protestano le donne tedesche
All'Italia moderata non serve tanto un Grand'Uomo

Ennesimo regalo ai magnoni sfaticati bastardi del Friuli Venezia Giulia. Spaccate tutto, spaccate tutta Trieste:
Castellamare di Stabia. Fincantieri, esplode la rabbia da Castellammare a Genova Cortei e blocchi delle strade
Napoli, prosegue a oltranza blocco stradale operai Fincantieri
Genova. Fincantieri, primi spiragli: il 3 giugno l’incontro a Roma sul piano
Napoli. Fincantieri, polizia media: blocco stradale sospeso per 40 minuti

Spiaggiati:
Puglia. Spiagge senza sabbia. La Regione non ha soldi
Brescia. Fallimenti senza tregua Brescia sale a quota 116
Verona. A Verona meno cig, ma più mobilità
Verona. La minaccia degli allevatori: «Fucili contro gli esattori»
Venezia. Appello dei vescovi ai sindaci: «I profughi vanno accolti»


Giappone. Fukushima: fusione parziale anche nei reattori 2 e 3
Finora era stata ammessa solo nel reattore 1 della centrale atomica giapponese colpita dallo tsunami
MILANO - Anche le barre di combustibile nucleare dei reattori 2 e 3 della centrale di Fukushima si sono parzialmente fuse. Lo ha annunciato la Tepco, gestore dell'impianto nucleare. Finora la società giapponese aveva reso noto che solo il reattore 1 era stato interessato da fusioni parziali «della maggior parte del combustibile al fondo del recipiente di contenimento» a causa dei sistemi di raffreddamento fuori uso dopo lo tsunami che l'11 marzo aveva investito il sito nucleare. Lo scenario aveva sollevato timori, ora confermati, che anche i numeri 2 e 3 avessero subito la stessa sorte. Secondo la compagnia, tuttavia, è improbabile che questo faccia peggiorare la situazione perché le barre sono già state coperte dall'acqua per aumentare il raffreddamento. Ora i reattori «sono interessati da operazioni di raffreddamento e la loro condizione è stabile», ha aggiunto un portavoce della Tepco.

Il default greco colpa dell'euforia europeista
 di Edoardo Narduzzi  
Mentre la Grecia sprofonda sotto il peso del suo debito pubblico verso il default, cioè il fallimento per impossibilità di rimborsare i propri creditori, una domanda, semplice, perfino banale, sorge spontanea: «Per quale strana ragione, qualche anno fa, è stato permesso a un'economia fragile e poco competitiva come quella greca di unirsi all'euro?» Sono le domande semplici, spesso, alla base della teoria economica più avanzata. Ronald Coase ha vinto in Nobel trovando una risposta al quesito «perché esiste l'impresa», mentre Franco Modigliani si è interrogato su come risparmio e consumo cambino nel ciclo della vita, mentre Merton Miller ha provato a spiegare perché, se un'impresa produce cassa, debito o azioni pari sono. Sul finire degli anni 90 non esisteva alcuna ragione che potesse giustificare l'ingresso della Grecia nella moneta unica. Un'economia marginale, con scarsa produttività e senza alcun settore manifatturiero di rilievo da sempre incapace di gestire la cosa pubblica (si pensi soltanto che lo stato greco non dispone di un catasto unico per tassare gli immobili), come poteva restare agganciata alla velocità di marcia che la Germania avrebbe imposto all'euro una volta nato? La semplificazione dell'epoca ha fatto ritenere ai più che sarebbe bastato l'ingresso nella moneta unica per innescare l'adozione di politiche virtuose da parte dei paesi più indebitati e meno competitivi. Invece, la storia è andata diversamente: la Grecia ha approfittato dei tassi bassi garantiti dall'euro e dalle garanzie implicite sui suoi titoli di stato per fare tanto deficit pubblico incrementale. Nessuno ha controllato Atene, perché le cosiddette bolle non riguardano soltanto gli immobili, le materie prime o i titoli tecnologici. Anche la macroeconomia può essere afflitta da fenomeni bolla e il caso odierno della Grecia ne è una testimonianza chiara. L'euforia e il contesto caratterizzato da un radioso futuro di crescita e di sviluppo che l'euro avrebbe innescato – per averne testimonianza basta rileggere i rapporti del 1996/97 dove si sprecavano le quantificazioni in termini di pil incrementale che la moneta unica avrebbe prodotto – hanno nascosto i problemi macroeconomici della Grecia. La nuova Europa con una nuova moneta poteva crescere così tanto e così rapidamente da poter farsi carico delle eventuali crisi periferiche o locali. Una convinzione ebra di ottimismo, come appunto accade nei periodi di esuberanza irrazionale quando gli investitori comprano tutto senza preoccuparsi troppo dei fondamentali. Ma le bolle prima o poi scoppiano, come sa bene oggi Atene.

Grecia, partito opposizione respinge nuovo piano austerità
Il leader dell'opposizione politica conservatrice della Grecia ha respinto il nuovo pacchetto governativo di misure fiscali volte a ridurre il deficit, dicendo che non aiuterebbe l'economia a riprendersi. "Non ho intenzione di accettare questa ricetta che - è stato dimostrato - è sbagliata", ha detto il leader del partito Nuova Democrazia Antonis Samaras dopo un incontro con il premier George Papandreou.
Il governo gode di una buona maggioranza in Parlamento, ma Papandreou è alla ricerca di un più ampio consenso politico prima di prendere ulteriori misure di austerità per uscire da una crisi del debito. L'euro è sceso contro il dollaro e futures Bund è rimbalzato dai minimi di seduta dopo la dichiarazione. I Bund futures sono rimbalzati dai minimi di seduta di 124,83 portandosi a 124,97 in calo di 22 tick.

In Belgio la formazione del governo è ancora lontana
di Roberto Dagnino
Re Alberto II ha per la prima volta incaricato il leader del Partito socialista francofono Elio Di Rupo di formare un esecutivo, dopo le elezioni del giugno 2010. Dalla riforma della Costituzione allo stato sociale, a Bruxelles sono in disaccordo su tutto. Il 16 maggio scorso il re dei Belgi Alberto II ha incaricato il leader socialista francofono Elio di Rupo di formare il nuovo governo. È la prima volta dalle elezioni legislative del 13 giugno 2010 che un esponente politico riceve formalmente l’incarico di tentare ciò che finora era apparso impossibile: mettere insieme una compagine governativa che ponga fine al periodo di gestione degli affari correnti più lungo nella storia delle democrazie contemporanee.

Di Rupo ha ufficiosamente dieci settimane di tempo. Tante ne servono per arrivare alle vacanze parlamentari di fine luglio che interromperebbero l’interminabile trafila di ‘settimane cruciali’ e di svolte imminenti che i media belgi non si stancano di annunciare con estenuante regolarità. Resta da stabilire se la nomina di Di Rupo rappresenti davvero un passo avanti o non sia semplicemente un ritorno al via nel monopoli della politica belga.

L’incarico a Di Rupo è per certi versi un indubbio passo avanti. Un passo avanti fortemente voluto dal re e reso possibile dal lavoro discreto, in gran parte condotto dietro le quinte, del leader democristiano fiammingo Wouter Beke nelle scorse settimane di mandato esplorativo. Il risultato è stato un voluminoso rapporto con il quale Beke ha esposto ad Alberto II le diverse opzioni sul campo per portare il paese a quella riforma costituzionale e a quella revisione dello stato sociale e dei meccanismi di finanziamento dello Stato federale che tutti, almeno a parole, auspicano.

Di Rupo ha dichiarato non a caso di voler ripartire proprio dal testo di Beke alla lettura del quale ha dedicato il weekend appena trascorso. La sua nomina è un passo avanti anche perché rende chiaro che la possibilità di nuove elezioni rappresenta per il re l’extrema ratio cui non intende cedere tanto facilmente. Una scelta che mette sotto pressione tutti i partiti, in primis i nazionalisti fiamminghi della N-VA di Bart de Wever, affinché trovino un accordo a qualsiasi costo. Il confronto a muso duro funziona bene sui media ma sembra non aver presa su Alberto II. E il leader socialista lo ha capito. Ha infatti già annunciato l’intenzione di presentare alla stampa e agli elettori una bozza di accordo che dovrà servire da base per le trattative (per ora bilaterali).
Ma la nomina di Di Rupo è anche un ritorno al punto di partenza. Negli ultimi mesi c’è stato senza dubbio, anche nelle Fiandre, un certo risveglio belgicista, soprattutto tra i socialisti, ma le posizioni dei diversi partiti non sembrano essersi avvicinate di molto rispetto a quasi un anno fa. Di Rupo era stato non a caso - simbolicamente - il primo cui Alberto II aveva conferito un mandato esplorativo, poi rivelatosi inconcludente. Il fatto che nel frattempo sia stato promosso premier incaricato risponde a una strategia mediatica ben precisa che però non riflette un concreto aumento della possibilità di un accordo. Il ritorno sulla scena dei liberali, tra gli sconfitti delle elezioni di giugno, e forse dei verdi rischia in questo senso di complicare ulteriormente il quadro, estendendo stabilmente le trattative a niente meno che nove partiti. Tutti cantano le lodi di Wouter Beke, ma data la discrezione con cui ha svolto il suo compito, quasi nessuno conosce davvero i dettagli del suo testo. Di Rupo si ritrova inoltre a dover gestire le due partite della riforma istituzionale e della formazione del governo contemporaneamente. La sua proposta, avanzata qualche settimana fa, di mettere insieme un nuovo esecutivo e di occuparsi in un secondo tempo della costituzione è stata accolta con scetticismo dal mondo politico fiammingo, che ha visto nelle sue parole il tentativo di rimandare la nascita del nuovo Belgio alle calende greche.

Grandi ombre restano quindi sull’incarico del leader del Parti Socialiste: dieci settimane possono bastare per un accordo di governo, ma saranno sufficienti anche per delineare una nuova costituzione, specialmente dopo il muro contro muro dei mesi scorsi? Sono in molti a dubitarne.

Riassumendo: fino ad ora la crisi politica belga era totale. Non c’era un primo ministro in pectore, non c’era un accordo di governo, non c’era un consenso sulla riforma costituzionale né sul nuovo assetto dello stato sociale belga e sul sistema di finanziamento delle entità federate (regioni e comunità linguistiche). Con il mandato a Di Rupo il re ha scelto di premere il piede sull’acceleratore per dare l’impressione che qualcosa si stia muovendo. Adesso c’è un premier incaricato, questo almeno sì, ma tutto il resto continua a mancare. E mancherà ancora per diverso tempo.

San Marino. Euroritenuta a 4 milioni e 600mila euro nel 2010
24/05/11 09:26
[RTV] Quanto incide l’imposta europea sui depositi bancari dei non residenti. La Segreteria alle Finanze ha tirato le somme: nel 2010 oltre 4 milioni e 600mila euro. Di questi, la stragrande maggioranza, proviene dall’applicazione su conti italiani. Per 4 milioni e mezzo. A incidere, rispetto al passato, il drenaggio operato dallo scudo fiscale, visto che nel 2009, l’euro ritenuta era di 18.600.000 con 18 milioni e mezzo da depositi italiani. Di fatto il 75% viene girato al paese di residenza del titolare del conto, mentre il 25% resta nelle casse sammarinesi. L’imposta si attesta al 20%, dal primo luglio salirà al 35%. Ma non è San Marino a essere nel mirino dell’Ecofin. Infatti nei confronti con l’Europa non è mai stato mosso alcun rilievo al Titano.
San Marino RTV

San Marino. Frontalieri, oltre la faccia ci mettiamo anche la firma. Sulla cartolina al Presidente Napolitano               
 Martedì 24 Maggio 2011
di Loris Pironi
Sulla questione dei frontalieri Fixing ci ha messo metaforicamente la faccia. Sin dall’inizio. Abbiamo criticato, duramente, l’articolo 56 della Finanziaria sammarinese che di fatto penalizza i lavoratori italiani che ogni giorno varcano il confine di San Marino. Ma non abbiamo certo dimenticato che il vero problema è a Roma. Perché senza la franchigia - e per il momento i frontalieri la franchigia non ce l’hanno - verranno messi in ginocchio i bilanci familiari di oltre 6 mila persone che con il loro lavoro contribuiscono a tenere in piedi l’economia di San Marino. Sulla questione franchigia, lo ribadiamo ancora una volta, la responsabilità è tutta della politica italiana, compresa quella parte che ora leva gli scudi contro San Marino in difesa di quegli stessi lavoratori che l’Italia sottopone alla doppia tassazione. Per questo motivo io sottoscritto, Loris Pironi, oltre a tenere la barra a dritta della campagna di giustizia sociale (prima ancora che economica) condotta da Fixing, ci ho messo anche la firma. Da lavoratore frontaliere e da direttore di questo giornale ho infatti sottoscritto, tra i primissimi, una delle cartoline che il sindacato spedirà al Presidente Napolitano. Perché anche se mi capita spesso di non condividere le posizioni del sindacato sammarinese, questa volta ritengo che la crociata sia sacrosanta.

Bozen. Bolzano: abito tradizionale tirolese con il tricolore a festa polizia, protestano le donne tedesche
Fa discutere l'idea di una stilista di vestire la presentatrice della festa della polizia in Alto Adige con un "dirndl" _ l'abito tradizionale del Tirolo _ declinato nei colori della bandiera italiana. Protestano Eva Klotz e le consigliere della Svp
BOLZANO. Fa discutere l'iniziativa di una designer altoatesina di fare indossare alla presentatrice della festa di polizia a Bolzano un tradizionale vestito sudtirolese appositamente creato nei colori del tricolore.
Il "dirndl" bianco, rosso e verde non piace infatti alle consigliere provinciali di lingua tedesca, come dimostra un sondaggio fatto dal quotidiano Tageszeitung.
Il vestito creato da Alexandra Stelzer, per la pasionaria Eva Klotz, è ''ridicolo''. ''Buon gusto è un'altra cosa'', aggiunge la vicepresidente della Regione, Martha Stocker (Svp).
''Se l'idea era di provocare, sono riusciti nell'intento'', commenta la consigliera Ulli Mair dei Freiheitlichen. ''Non credo - aggiunge - che una turista milanese comprerebbe un dirndl tricolore''.

All'Italia moderata non serve tanto un Grand'Uomo
Non c'è bisogno del Cavaliere con le sue mattane e il suo narcisismo. Se ne può fare a meno
di Diego Gabutti  
Non è stata la gaffe di Letizia Moratti, che ha accusato Giuliano Pisapia di furto d'auto in diretta tivù, il punto più basso della campagna elettorale. E non è stato nemmeno l'intervento di Pisapia, che qualche giorno dopo ha sventato un furto d'auto e una rapina intervenendo di persona al soccorso del diritto di proprietà (speriamo sia soltanto un tentativo, alla Berlusconi, di fare lo spiritoso, e non una notizia da prendere sul serio, quindi attendiamo fiduciosi che qualcuno spicchi un saltino gridando: «Scherzo!»). Nemmeno le aggressioni fisiche ai danni dei candidati del centrodestra e neanche il comizio di Beppe Grillo a Bologna (quando ha dato del «busone» a Nichi Vendola) sono stati il punto più basso della campagna elettorale. Si è toccato il fondo — e più in basso di così è politicamente e umanamente impossibile andare — quando il presidente del consiglio, nel corso di un'intervista televisiva sulle elezioni napoletane, ha dichiarato che gli elettori del capoluogo campano si sarebbero dimostrati «riconoscenti» votando per lui. Ci sono cose che si possono pensare ma non dire: le fantasie erotiche sulle vicine di casa, per esempio, o sulle veline, come pure le battute sul colore della pelle di Barak Obama. E ci sono cose che non si possono dire e nemmeno pensare: l'idea che gli elettori, dopo averli miracolati col loro voto, debbano essere grati agli eletti è una di queste. Ma Silvio Berlusconi pensa sul serio (purtroppo non griderà: «Scherzo!» e neppure «buu», come ad Angela Merkel) che avere tentato (senza successo, però mettendocela tutta, mica come quei comunisti del menga) di sgombrare le immondizie dalle strade di Napoli faccia dei cittadini napoletani dei debitori della sua lista elettorale in eterno. Forse neanche Hitler e il Presidente Mao erano così fuori di testa da pensare che la Germania e la Cina dovevano essere loro riconoscenti fino alla fine dei tempi per tutte le attenzioni che i due tiranni avevano dedicato al popolo tedesco e a quello cinese. E se lo pensavano, è perché erano due pazzi pericolosi che andavano a dormire tranquilli, Adolf Hitler fischiettando un motivetto wagneriano, Mao Zedong fumando la settantesima sigaretta della giornata, dopo aver organizzato olocausti, conflitti mondiali, guerre civili su scala apocalittica. Vi tormento: urlate di dolore e siatemene grati, pensa il tiranno mentre attrezza le forche e ordina migliaia di chilometri di filo spinato alla più vicina ferramenta. È il sogno del sadico: che tutti, lui escluso, siano masochisti. Ma Berlusconi non è un tiranno. Non è neppure questo gran statista, e anche come sadico non ha l'aria d'essere granché. È soltanto quel che appare: un barzellettiere più o meno abile, storielle sozze piacendo. Per questo c'è da spaventarsi quando pretende gratitudine dai napoletani, per avere fatto (anzi soltanto tentato di fare, ma invano, senza riuscirci, sempre per colpa di tutti quei comunisti fissati e fanatici che remano contro il governo, o meglio è colpa del partito dell'invidia sociale) ciò che le autorità, elette e pagate apposta, devono assolutamente fare, altrimenti è meglio che cedano al più presto la poltrona a qualcun altro.

Significa infatti che il paese è nelle mani d'un potere inaffidabile e irresponsabile. Berlusconi e la sua Casta di falsi liberali e di liberisti farlocchi vogliono un popolo a loro misura: riconoscente, orgoglioso d'avere un leader ricco a miliardi di euro, pieno di donne o meglio di donnine, con i tacchetti e i capelli trapiantati. Vogliono un popolo sempre disposto a ridere delle Sue barzellette, amico dei Suoi amici, nemico acerrimo dei Suoi nemici, disposto persino a presidiare il palazzo di giustizia milanese per Lui, caro lei, e ligio anche agli ordini anche di Daniela Santanché. Berlusconi e i suoi ragazzi, tutti in blu, tutti incravattati, vogliono un popolo che non avranno mai, come ha dimostrato il primo turno dell'elezione milanese. Urge, ripetiamo, che il centrodestra si rinnovi. Non c'è bisogno del Cavaliere, con le sue mattane e il suo narcisismo. Se ne può fare a meno. Chiunque abbia un minimo di sobrietà può farne le veci. All'Italia moderata non serve un Grand'Uomo. Basta e avanza un politico con la testa sul collo da votare (meglio se poi dimostra riconoscenza).

Castellamare di Stabia. Fincantieri, esplode la rabbia da Castellammare a Genova Cortei e blocchi delle strade
Monta la protesta per la decisione di chiudere gli stabilimenti campani e liguri tagliando oltre 2.500 posti di lavoro. Nella notte occupato il municipio della cittadina napoletana
CASTELLAMMARE DI STABIA (NAPOLI), 24 maggio 2011 - Monta la protesta nel Napoletano e in Liguria per la decisione di chiudere gli stabilimenti Fincantieri di Castellammare di Stabia e di Sestri Ponente, e di ridimensionare il cantiere siciliano. In tutto si parla di un taglio di oltre 2.500 posti di lavoro.
NAPOLI - Un centinaio di lavoratori ha trascorso la notte nel Municipio di Castellammare che è occupato dalla tarda serata di ieri dalle maestranze. Gli operai preannunciano giornate di durissime proteste. I manifestanti ieri sera hanno provocato danni alle strutture del Municipio, fracassando vetri, rompendo mobili ed anche i banchi della sala del consiglio comunale. La rabbia e la tensione si sono andate stemperando con il trascorrere delle ore anche per l’intervento del sindaco Luigi Bobbio, del vicesindaco Giuseppe Cannavale, del comandante dei vigili urbani.  L’intervento della polizia ha permesso di liberare i locali, anche se gli operai hanno mantenuto un presidio.
Un gruppo di operai Fincantieri di Castellammare hanno poi bloccato la statale Sorrentina all’altezza del bivio che porta a Castellammare: uno snodo cruciale che sta già paralizzando la circolazione automobilistica in tutta l’area.

GENOVA - Un’immediata convocazione da parte del Governo. E’ la richiesta dei lavoratori dello stabilimento Fincantieri di Sestri Ponente e delle organizzazioni sindacali che stanno sfilando in corteo verso la Prefettura di Genova per protestare contro il piano industriale presentato ieri dall’azienda. Per quanto riguarda il capoluogo, il piano prevede, infatti, la chiusura per tre anni del cantiere. Al corteo si uniranno anche delegazioni di altre fabbriche del capoluogo.
Dopo un’assemblea, i lavoratori scenderanno in strada e non e’ escluso che blocchino il casello autostradale. Il piano aziendale prevede lo spostamento di circa 700 lavoratori del comparto navale dal cantiere di Riva a quello del Muggiano, a La Spezia. “Fincantieri -dice il segretario generale della Uilm di Genova, Antonio Apa- deve fare un passo indietro perché è inaccettabile una operazione, come quella che ci e’ stata presentata ieri dall’azienda, che prevede un drastico ridimensionamento di una eccellenza industriale nel mondo quale e’ la cantieristica italiana”.

Napoli, prosegue a oltranza blocco stradale operai Fincantieri
Napoli, 24 mag (Il Velino/Il Velino Campania) - I manifestanti della Fincantieri, in presidio da questa mattina sulla statale sorrentina, si sono spaccati in due blocchi: tra chi riteneva necessario proseguire nel bloccare la circolazione, nodo principale della circolazione verso Sorrento e le località della costiera, e chi proponeva di dare un segnale distensione alla Regione Campania, in vista anche dell'imminente apertura di tavolo di trattative. Dopo circa due ore di presidio al bivio di Pozzano, le diplomazie interne erano riuscite a liberare la carreggiata, ma in poco meno di due minuti il fronte più oltranzista si è riposizionato al centro delle due corsie, bloccando nuovamente la circolazione. Nonostante i momenti di tensione e le accese discussioni all'interno dei manifestanti il blocco per ora prosegue.
(rep/bm) 24 mag 2011 13:13

Genova. Fincantieri, primi spiragli: il 3 giugno l’incontro a Roma sul piano
14.02 - I dipendenti Fincantieri di Riva Trigoso hanno rimosso il blocco del casello di Sestri Levante della A12 Genova-Livorno poco prima delle 14.
13.54 - Primi spiragli dal Governo sul piano industriale presentato da Fincantieri: il 3 giugno a Roma ci sarà l’incontro. Al presidio presente anche Edoardo Rixi (Lega Nord): «Il piano è inaccettabile e va ritirato» . Ivano Bosco (Cgil): «La tensione è alta. Ci troviamo di fronte ad un piano che distrugge il comparto produttivo di un’intera città»

Napoli. Fincantieri, polizia media: blocco stradale sospeso per 40 minuti
Napoli, 24 mag (Il Velino/Velino Campania) - A buon fine la mediazione a opera della polizia sui manifestanti che da questa mattina presidiano il bivio di Pozzano sulla strada statale sorrentina. Il fronte più oltranzista, coloro che non intendono rimuove il blocco, è rappresentato dai lavoratori dell'indotto di Fincantieri, per molti dei quali la cassa integrazione è già scaduta. Temono che lasciando il presidio vengano disattese le richieste occupazionali. Ma, per la preoccupazione delle forze di polizia che, col passare delle ore, nella lunga fila di auto tir e bus turistici finiscano anche i pulmini delle scuole e i mezzi dei pendolari, i manifestanti hanno deciso di sospendere il blocco per 40 minuti anche per dare un segnale positivo ai vertici istituzionali che si incontreranno alle 16 in Regione.
(rep/bm) 24 mag 2011 14:00

Puglia. Spiagge senza sabbia. La Regione non ha soldi
 Lunedì 23 Maggio 2011 13:52
TARANTO - Arenili sempre più sparuti e spiagge che si ritirano ogni anno di diversi centimetri. I comuni rivieraschi stamattina a Bari, presso l’assessorato regionale alle opere pubbliche dove hanno potuto incontrare il dirigente del settore, in assenza di Amati. L’incontro si è concluso con un sostanziale nulla di fatto. «L’ente regionale ha comunicato che non ci sono i fondi per sovvenzionare interventi di stretta urgenza» ha spiegato, ad incontro concluso, l’assessore provinciale all’ambiente, Michele Conserva.

Quindi tocca ai comuni e ai singoli imprenditori scendere in campo, questo almeno l’invito della Regione: «Di positivo c’è che la Regione accoglierà i progetti presentati dagli imprenditori e li valuterà per un possibile co-finanziamento » ha aggiunto Conserva esprimendo soddisfazione per il piano delle coste che l’ente di via Nazario Sauro si appresta a presentare a breve. All’incontro, tra gli altri, il sindaco di Lizzano Dario Macripò e i rappresentanti del comune di Pulsano che, insieme a Torricella e alle isole amministrative di Taranto è interessato dal fenomeno dell’erosione. «Dopo una serie di rinvii ci è stato detto che oggi è troppo tardi» ha commentato Macripò. «Non possiamo usufruire del trattamento riservato ad altre province, come Lecce ad esempio. La Regione ci ha detto che non ci sono fondi e che comunque siamo a ridosso dell’avvio della stagione». A Bari anche i rappresentanti del sindacato balneari. Gli stabilimenti che corrono lungo le zone interessate dal fenomeno legato all’azione degli agenti atmosferici, lavoreranno di meno, gli spazi si riducono e di conseguenza anche le file di ombrelloni da sistemare sugli arenili. Un nulla di fatto quello di oggi che pesa sugli imprenditori e sul turismo.

Brescia. Fallimenti senza tregua Brescia sale a quota 116
 PROCEDURE E PROSPETTIVE. I dati del tribunale aggiornati al mese scorso rilanciano l'allarme
 In aprile altre 30 società sono arrivate al capolinea Da gennaio confermata la crescita rispetto al 2010
24/05/2011
Una corsa continua, che rilancia l'allarme sul territorio: in provincia di Brescia non conosce sosta la crescita dei fallimenti, come testimoniano - eloquentemente - i dati aggiornati del Tribunale.
IN APRILE, come emerge dall'attività della sezione specializzata, sono 30 le società arrivate al capolinea, in aumento rispetto allo stesso mese del 2010 (erano 28, in linea con il 2009). Questo significa che, dall'inizio del nuovo anno, il totale sale abbondantemente in tripla cifra e si attesta a quota 116: si confronta con quello che indica in 108 le procedure definite nel primo quadrimestre del 2010, già significativo e in incremento rispetto a dodici mesi prima. Come emerge anche dalla tabella pubblicata a fianco sono diverse le ditte dichiarate fallite dopo aver scelto la strada della liquidazione volontaria. Considerati gli ultimi dati appare sempre più probabile che, di questo passo, il 2011 possa chiudersi segnando un altro record in negativo per la provincia di Brescia, dopo un 2010 andato in archivio con ben 313 società al capolinea.

A Verona meno cig, ma più mobilità
 CRISI. Dati di aprile: in un anno sono dimezzate le aziende scaligere che hanno fatto richiesta degli ammortizzatori
 Sale quella «indennizzata» dovuta alle richieste di cassa dell'anno scorso: 835 i veronesi disoccupati
In dodici mesi si è dimezzato il numero di aziende veronesi che hanno fatto richiesta di cassa integrazione straordinaria. Dai dati forniti dagli uffici dell'assessorato al Lavoro della Provincia, aggiornati all'inizio del mese, emerge che dalle 49 procedure aperte nei primi quattro mesi del 2010 si è passati alle 23 da gennaio-aprile 2011. Un andamento che si legge anche nel numero di ore di cassa: secondo i dati forniti dalla Cisl provinciale le ore autorizzate dall'Inps nei primi quattro mesi del 2011 sono state 2.965.574: prima dell'inizio della crisi, nello stesso periodo del 2008, erano state 237.211, nel 2009 937.386 e lo scorso anno, sempre nel primo quadrimestre, erano state 7.671.983. «Il dato di quasi tre milioni di ore nel 2011», ha commentato Massimo Castellani, segretario provinciale Cisl, «ci conferma che la crisi sta ancora interessando le imprese veronesi. Purtroppo la timida ripresa in atto non ha ancora mostrato ricadute sul piano occupazionale».
La situazione del mercato del lavoro, secondo Castellani, è stazionaria con modeste prospettive di crescita nel breve periodo. «Per capire come stanno andando le cose in altre realtà Venete», ha continuato Castellani, «prendiamo Vicenza che sul piano degli addetti e degli abitanti è assimilabile a Verona. I dati dimostrano che nei primi 4 mesi dell'anno la Cig è più del doppio di quella di Verona: Vicenza 6.214.429 ore contro le 2.965.574 di Verona».
Guardando la situazione regionale, ad aprile 2011 la domanda di Cig (ore autorizzate) rimane stabile sulla media del primo quadrimestre dell'anno. I dati pubblicati dall'Inps segnalano una forte riduzione, falsata però dalla mancata autorizzazione delle ore di Cig in deroga presentate dalle aziende in questo mese, a causa della mancanza di copertura finanziaria del capitolo di spesa. Risultano infatti circa 300mila ore autorizzate, molto meno di quelle effettivamente richieste. La cassa integrazione ordinaria di aprile 2011 presenta numeri nella media degli altri mesi del 2011 (1,6 milioni) che sono molto ridotti rispetto agli stessi mesi del 2010 (media 3 milioni).
«In compenso è in aumento la mobilità indennizzata, che risente della cassa integrazione richiesta dalle aziende lo scorso anno», ha aggiunto l'assessore provinciale al Lavoro Fausto Sachetto, «perché se nell'aprile 2009 erano 519 i lavoratori in mobilità, nello stesso mese del 2010 sono 718, ad aprile 2011 sono 835 veronesi in disoccupazione». Stabile invece il dato relativo alla mobilità non indennizzata (legge 236), che ad aprile riguardava 1.674 lavoratori. Le procedure di mobilità riguardano soprattutto il settore metalmeccanico (19 imprese), quello del commercio (9 imprese) e il grafico con 6 imprese. F.L.

Verona. La minaccia degli allevatori: «Fucili contro gli esattori»
Annuncio del leader dei Cospa Giacomazzi: si stanno armando, l’ho segnalato alla procura. E rivela: «Io il destinatario della supermulta da quattro milioni»
VERONA — Fucili e pistole per «difendersi» dagli esattori. Che il popolo delle quote latte non vada tanto per il sottile s’era capito venerdì scorso con il «sequestro», durato cinque ore, del dipendente di Equitalia Paolino Zanellato, colpevole di aver consegnato una cartella esattoriale da 587mila euro a Mirko Pozzan, un allevatore di Lonigo, nel Vicentino. Ma ora c’è davvero il rischio che qualcuno perda la testa. E a dirlo è il presidente nazionale del Cospa, il veronese Vilmare Giacomazzi. «Ho partecipato a una riunione, alcuni giorni fa, con altri allevatori. C’è molta rabbia e alcuni di loro hanno detto chiaramente che andranno a comprare fucili e pistole. Sono pronti a usarle, nel caso qualche altro esattore pretenda di incassare queste multe folli». Giacomazzi è preoccupato. Spiega di avere subito avvertito le forze dell’ordine e la procura, sollecitando il blocco delle cartelle esattoriali. «Ho invitato i colleghi a mantenere la calma, ma sono esasperati: questa non è un’esazione, ma un’estorsione vera e propria, che ha lo scopo di tappare la bocca a chi ha il coraggio di denunciare le irregolarità».

In Veneto starebbero per arrivare sanzioni per seicento aziende, di importo variabile tra 400mila e 5 milioni di euro. E tra i più colpiti c’è proprio Giacomazzi, uno dei leader della protesta. «Dicono che dovrei pagare oltre 4 milioni di euro. Una cifra basata su calcoli assurdi, che non pagherò. Nessuno di noi è disposto a farlo. Perchè Equitalia, prima di riscuotere, dovrebbe almeno ottenere la certezza del credito. E invece non c’è stata alcuna verifica». Il presidente del Cospa, 63 anni, si definisce «allevatore da sempre». Un lavoro tramandato di padre in figlio da generazioni, visto che la sua famiglia opera nel settore da oltre un secolo. Oggi è alla guida di un’azienda che ha sede a Oppeano, con 220 bovini in lattazione. «Hanno fissato per il mio allevamento delle quote latte che non sono state aggiornate per molti anni. E ora pretendono di sanzionarmi per aver sforato... ». Ieri il Cospa ha inoltrato alla procura di Padova un’integrazione alla denuncia presentata nel dicembre del 2009 contro Fausto Luciani, dirigente dell’Agenzia Veneta per i Pagamenti in Agricoltura (Avepa). Un’inchiesta che sembrava destinata a finire in un nulla di fatto, visto che il pmLuisa Rossi ha chiesto l’archiviazione.

Ma Giacomazzi e altri allevatori si sono opposti. Ora chiedono la riapertura dell’indagine. Nei nuovi documenti consegnati alla procura si denunciano «fenomeni truffaldini alla base di calcolo delle vacche da latte e sulle emissioni di super prelievi e di provvedimenti sanzionatori». Il riferimento è alla scoperta di allevamenti «di carta», cioè aziende che si accaparravano le quote senza neppure avere dei bovini. Ma nella documentazione inoltrata agli investigatori si fa anche riferimento alla pallottole spedite il mese scorso al governatore del Veneto, Luca Zaia. Il Cospa inoltre collega un’indagine di Pordenone alla morte di un funzionario e alle intimidazioni subite dal presidente della Regione: «Abbiamo presentato denuncia penale contro il dirigente di Agea (l’agenzia per le erogazioni in Agricoltura, ndr) del Friuli, Silverio Scaringella. Il pm Riccardo Facchin - si legge nelle carte - ha detto che avrebbe chiesto ulteriori chiarimenti alla procura di Roma e ai dirigenti di Agea del Friuli, in particolar modo a Scaringella. Non ci è dato sapere cosa sia successo, ma il dirigente Scaringella si è suicidato e nel medesimo giorno è arrivata al governatore Zaia una busta chiusa contenente due pallottole». Fucili, pistole e pallottole. I giorni più caldi della battaglia sulle quote latte forse devono ancora venire.
Andrea Priante

Venezia. Appello dei vescovi ai sindaci: «I profughi vanno accolti»
Da Verona a Padova, monito della Chiesa. Che offre le proprie strutture. Critiche da Cisl e imprese al governatore: ha scaricato il problema
VENEZIA— Fatica a trovare consensi la decisione del governatore Luca Zaia di sfilarsi dalla partita dei profughi per rimettere tutto nelle mani delle Prefetture. Dando, per di più, ragione ai sindaci leghisti che chiudono la porta ai rifugiati. Da una parte l’invito all’ospitalità ribadito dai vescovi veneti, dall’altra la delusione della società civile per la rinuncia della Regione a gestire l’emergenza fanno salire la tensione. «Apriamo le porte ai profughi della Libia», è l’appello lanciato ieri dal presule di Verona, monsignor Giuseppe Zenti, che attraverso la Caritas chiama in causa congregazioni e istituti religiosi, associazioni laiche e parrocchie affinchè «indichino la disponibilità a offrire qualche posto per l’accoglienza di questi fratelli e sorelle che stanno vivendo un momento di pesante sofferenza». La Caritas s’impegna a mantenere il coordinamento e a offrire un supporto nell’eventuale disbrigo di pratiche legali, burocratiche o di altro genere.
Un messaggio che ricalca quello pronunciato da monsignor Beniamino Pizziol, vicario ausiliare nella Diocesi di Venezia e dal primo giugno nuovo vescovo di Vicenza: «Accoglierò a braccia aperte una settantina di profughi libici nella casa di spiritualità e di vacanze a Cavallino. Potranno restare un mese». Cioè fino al 22 giugno, quando arriveranno le famiglie che hanno prenotato la vacanza al mare nella stessa struttura. Al coro si unisce la voce di monsignor Antonio Mattiazzo, vescovo di Padova, che sottolinea «l’importanza di un esame di coscienza da parte di tutta la comunità, a partire dai sindaci ». «Dare ospitalità ad extracomunitari in difficoltà, fuggiti dalla loro terra costellata di guerra e povertà, è un dovere di tutti», scandisce. La prima risposta al prelato arriva dal sindaco leghista di Tombolo (Padova) e non è esattamente un’apertura. «Non posso non condividere il suo invito, laddove questo non s’infrange però con la mancata conoscenza della drammatica situazione in cui operano alcuni Comuni, penalizzati dalla legge di stabilità— scrive Franco Zorzo a Mattiazzo —.Il mio territorio non conta alberghi né ostelli in grado di ospitare alcun cittadino e non abbiamo risorse per affittare locali. Il bilancio è bloccato per volontà del ministro Tremonti, gli unici tagli al bilancio possibili ricadrebbero su scuole materne e sostegno socio-assistenziale a chi ne ha bisogno». Altrettanto lapidaria la posizione di chi critica la scelta di Zaia di delegare ad altri il «caso profughi». «E’ una decisione che mi ha molto delusa— ammette Franca Porto, segretario di Cisl Veneto — è la rinuncia ad esercitare le proprie responsabilità. Non si possono rivendicare un ruolo da protagonista, nuove risorse e competenze nell’ambito del processo del federalismo, adducendo la motivazione di poter governare meglio, e poi abdicare al proprio ruolo di fronte alle prime criticità. E’ un comportamento sbagliato».

D’accordo Giuseppe Sbalchiero, presidente regionale di Confartigianato: «Quando si assume un incarico, bisogna avere il coraggio di affrontare tutte le tematiche che lo stesso esige di gestire. Posso capire l’imbarazzo di Zaia, però non è scaricandoli su altri che si risolvono i problemi. E’ doveroso mantenere l’impegno preso, non si può prima dire sì ai profughi e poi fare marcia indiestro, così si disorienta la gente. C’è una strategia o la Regione si muove a seconda degli umori che capta in giro? Abbiamo bisogno di un piano condiviso da politica e attività produttive — chiude Sbalchiero —a vincere è il gioco di squadra. Il Veneto è la regione che più delle altre ha conosciuto il dramma dell’emigrazione, sediamoci tutti intorno a un tavolo e troviamo insieme le giuste risposte. Basta con la demagogia ». Perfino Francesco Borga, ex direttore di Confindustria e ora presidente di una società partecipata della Regione, Veneto Sviluppo, osserva: «Palazzo Balbi non deve mai rinunciare al suo ruolo di controllo e coordinamento, tantomeno ora che prevale la "pancia". Per chi ha un ruolo istituzionale mantenere la razionalità è un dovere». Michela Nicolussi Moro

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