sabato 20 novembre 2010

«Dell'Utri mediò tra Berlusconi e mafia»


Le motivazioni della condanna in appello
«Lo stalliere Mangano fu assunto per proteggerlo»
di Lucio Galluzzo
PALERMO (20 novembre) - “Per quasi due decenni”, a partire dal 1975, Silvio Berlusconi avrebbe subìto dai boss di Palermo un “rapporto parassitario”: gli avrebbero estorto forti somme di denaro sotto forma di “protezione” per la vita sua e dei suoi familiari. Mediatore nell’estorsione sarebbe stato il senatore Marcello Dell’ Utri. È questo lo schema che emerge dalle 641 pagine delle motivazioni depositate ieri dalla Corte d’Appello di Palermo, presieduta da Claudio dell’Acqua, che il 29 giugno scorso ha condannato a 7 anni di reclusione il parlamentare Pdl per fatti avvenuti entro il 1992 e lo ha assolto da quelli successivi che pure gli erano stati contestati dalla Pubblica Accusa.

Al tempo stesso la sentenza respinge la tesi dell’accusa secondo la quale Dell’Utri avrebbe beneficiato del sostegno elettorale di Cosa Nostra, perché manca la prova “concretamente apprezzabile” che tra il senatore e i boss sia stato stipulato un “patto” politico-mafioso. Dell’Utri, che in primo grado era stato condannato a 9 anni, viene indicato invece dalle motivazioni come lo “specifico canale di collegamento” tra i boss e l’imprenditore, allora in rapida ascesa, della tv privata in Italia.

E proprio questo rilievo ha scatenato ieri la reazione delle opposizioni, del Pd in particolare: il responsabile giustizia Orlando ha parlato di «quadro inquietante», la capogruppo in commissione Antimafia Garavani ha detto che sono confermate «le pesantissime ombre» su Berlusconi e ha chiesto che la sentenza sia subito acquisita dall’Antimafia.

I magistrati hanno giudicato pienamente attendibile la deposizione del pentito di Altofonte Francesco Di Carlo, arrestato in Inghilterra e più volte ascoltato dai pm nel quadro del caso del banchiere Calvi. In questo contesto, dunque, la motivazione sottolinea che proprio l’intervento di Dell’Utri, allora figura chiave nell’acquisizione pubblicitaria di Mediaset, determinò l’assunzione presso la villa di Arcore del mafioso Vittorio Mangano. Il suo ruolo, afferma la sentenza, fu solo nominalmente di “stalliere”, ma accudire i cavalli appare ai giudici solo un paravento rispetto alla vera funzione esercitata. Mangano infatti era stato chiamato per garantire la sicurezza dell’industriale futuro presidente del Consiglio e della sua famiglia, che ai mafiosi palermitani appariva un “imprenditore milanese in rapida ascesa economica”, e dunque una potenziale fonte di arricchimento, da conquistare con le minacce e le conseguenti estorsioni. Insomma, si legge nella motivazione: “un rapporto parassitario protrattosi per quasi due decenni“.

Per fondare le loro convinzioni i giudici dell’appello valorizzano il “sistema di relazioni” di Dell’Utri con Cosa Nostra desunto dalla testimonianza di Di Carlo. E dunque fissano il “cappio” lanciato al collo di Berlusconi ad un incontro svoltosi nel 1975 a Milano (riferito dal pentito) e tenutosi “negli uffici di Berlusconi” al quale avrebbero preso parte, oltre a Dell’Utri, i boss Gaetano Cinà, Girolamo Teresi e Stefano Bontade, che era allora - sottolinea la sentenza - “uno dei più importanti capimafia”.

Oltre all’incolumità del Cavaliere e dei suoi familiari i boss avrebbero posto sul tavolo della trattativa anche la “messa a posto” (e cioè il “pizzo”) della Fininvest che all’inizio degli anni ‘80 era sbarcata in Sicilia gestendo alcune emittenti private regionali. I “collettori” del pizzo sarebbero stati i fratelli Ignazio e Giovambattista Pullarà, che ereditarono i benefici del “patto” per la protezione di Berlusconi e dei familiari stipulato, tramite Dell’Utri, con Stefano Bontade (il boss mafioso ucciso il 23 aprile 1981 ndr) e Girolamo Teresi, vittima della lupara bianca.

«È proprio tra la fine degli anni ‘70 e gli inizi degli anni ‘80 - scrivono i giudici - che iniziano a pervenire al sodalizio mafioso somme di denaro da parte della Fininvest, collegate stavolta non più al solo cosiddetto ‘patto di protezione’ stipulato molti anni prima con l’intervento di Dell’Utri e Cinà e l’avallo di Stefano Bontade in persona, ma anche all’installazione dei ripetitori Tv in Sicilia, in concomitanza con la crescente affermazione del gruppo milanese nel mondo televisivo nazionale».
Nel capitolo in cui affronta, per poi respingerla, la richiesta del pm di condannare dell’Utri per un patto elettorale-mafioso, la motivazione della sentenza afferma la “palese genericità delle dichiarazioni dei collaboranti” su questo punto. E ricorda che fino al 1993 i vertici mafiosi, in particolare Leoluca Bagarella, erano impegnati a promuovere una propria formazione politica - Sicilia libera - di intonazione autonomista. Poi il progetto venne accantonato perché intanto era nata Forza Italia.

L’appoggio elettorale al partito di Berlusconi non darebbe certezze sull’esistenza di un accordo. Questa ipotesi, sostenuta dall’accusa, “difetta pertanto di quei connotati di serietà e concretezza richiesti dalla Suprema Corte ai fini della configurabilità del concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso nel caso paradigmatico del patto di scambio tra l’appoggio elettorale da parte della associazione e l’appoggio promesso a questa da parte del candidato”.
Fonte: 
http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=127486&sez=HOME_INITALIA#

Dell’Utri: fantasie incontri con boss
(ANSA) - ROMA, 20 NOV - ‘Incontri mai provati, frutto di fantasie di pentiti’. Il senatore del Pdl Marcello dell’Utri, condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, parla cosi’ sul Tg1 dei presunti incontri nel 1975, negli uffici di Berlusconi, con alcuni boss, tra cui Stefano Bontade. Dicendosi sereno in attesa di una sentenza finale ‘diversa’, Dell’Utri nega di aver saputo dei legami tra Vittorio Mangano e Cosa Nostra: ‘quando l’abbiamo assunto non aveva il distintivo’.
Fonte:
http://blog.panorama.it/ultimora/2010/11/20/dellutri-fantasie-incontri-con-boss/
 

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