sabato 20 novembre 2010

Napoli, la rassegnata


Inviato da redazione il Sab, 20/11/2010 - 14:30
Giorgio Mottola da Napoli

RIFIUTI. Viaggio nella città che sembra quasi convivere con le discariche lungo i marciapiedi e i roghi da cui si sprigiona diossina. Nessuno protesta. «Tra società civile e istituzioni siamo ormai allo scollamento».

ll frastuono dei clacson è sovrastato dalle bestemmie e gli insulti che si scambiano in napoletano gli automobilisti. Le macchine sono incolonnate  da più di un quarto d’ora. È completamente bloccata via dei Tribunali, una delle strade più turistiche del centro storico di Napoli  che si incrocia con San Gregorio Armeno, la strada dei presepi. Ma nessuno ha chiamato i vigili urbani. Non sono loro che risolverebbero il problema. Tutti aspettano che arrivi il camioncino dall’Asia, la società che si occupa della raccolta rifiuti. Una catasta di sacchetti è collassata su se stessa. A terra ci sono cespi di lattuga marcia, cartoni da pizza, resti di un pranzo di qualche settimana fa. Chi è a piedi, fa lo slalom tra la monnezza, con tranquillità, parlando al cellulare. Ma se non avesse invaso la strada, bloccando il traffico, stamattina nessuno avrebbe forse fatto caso a quella minidiscarica in pieno centro. «Oramai l’unica cosa che ci può veramente sorprendere è svegliarci una mattina e non vedere più la monnezza. Anzi, secondo me qualcuno si preoccuperebbe. Penserebbe: e mo’ che è successo?», scherza amaro un anziano con il cappello di lana e la voce roca, che vende la frutta sotto ai portivi di via dei Tribunali.

In questa strada c’è anche la pizzeria di Gino Sorbillo, una delle più rinomate e frequentate della città. Davanti all’ingresso, tiene ancora appeso il cartello, che mesi fa aveva fatto tanto discutere: “Dopo gli insulti ai napoletani non sono graditi in questo locale i leghisti”. Ma anche se è un tipo combattivo, Sorbillo sull’emergenza rifiuti preferisce abbassare i toni: «La situazione è meno grave rispetto a due anni fa. Anche se l’immagine della città è mediaticamente legata alla spazzatura, i turisti per fortuna vengono e sono tantissimi». Quindi, tutto a posto? «Beh, il fatto è che il napoletano è speranzoso. In attesa che la crisi si risolva non ci resta che provare a vivere normalmente».  Non è l’unico a pensarla così. Nei rioni popolari della città, a Forcella, alla Sanità, ai Quartieri Spagnoli le condizioni dei vicoli sono identiche. L’immondizia ha conquistato intere porzioni di marciapiede, ha modificato il paesaggio.

A Forcella è cambiata la disposizione dei banchetti delle sigarette di contrabbando. Due anziane enormi, che vendono pacchi di malboro a 2 euro e 20, hanno dovuto spostarsi sul marciapiedi di fronte. Sono inviperite: «Il problema non è tanto la spazzatura che sta qua di fronte, ma la monnezza che sta alla Regione, al Comune, che non puzza ma ci comanda», sentenzia in un dialetto strettissimo una delle due. Ma al di là dello sfogo e della rabbia, non si va. L’unica forma di protesta sperimentata sinora nei quartieri popolari è dare fuoco ai cassonetti stracolmi. Si respira diossina, ma almeno l’immondizia bruciata viene portata via. Nella periferia di Napoli i roghi sono continui. In via Argine, a San Giovanni a Teduccio, a Barra, nella zona industriale al confine con Chiaiano e Piscinola, ai lati degli stradoni pieni di buche sono sorte vere e proprie colline di immondizia. Le cime arrivano in alcuni casi, come nel cumulo che sta a San Giovanni a Teduccio visibile anche dall’autostrada, ai due metri di altezza. Emanano un afrore acido, a volte qualcuno appicca il fuoco e passano ore prima che arrivino i vigili del fuoco per spegnere le fiamme.

«Perché non si ribellano i napoletani», chiede una coppia di turisti di Cremona che passeggia su corso Umberto, tappandosi il naso, con un’ostentazione eccessiva e non necessaria.  Quasi sbotta Isaia Sales,  Sales, una delle figure più importanti dell’anticamorra in Campania, quando gli riferiamo la domanda. «E che dovremmo fare?», risponde, «I rifiuti per strada dovrebbero bastare a lanciare l’allarme a livello nazionale. È lo Stato che deve dare una soluzione. Che può fare la società civile? Queste mi sembrano provocazioni da salotto». Nella “ribellione” non crede nemmeno lo storico Francesco Barbagallo, che però ammette: «Napoli è una città particolare, dove di società civile ce n’è poca e quella che c’è è scarsamente reattiva».  La stasi si spiega, secondo lo studioso, guardando il volto di coloro che sono i veri attori sociali della realtà napoletana: «Questa città, come il resto della Campania, si è deindustrializzata apartire dalla fine degli anni ’80. La gran parte del ceto imprenditoriale rimasto in piedi è quello fa parte della gerarchia criminale. La vera borghesia, quindi, è quella camorristica. Il problema è proprio questo. Da qualsiasi punto si voglia guardare la situazione, i soggetti più attivi sono loro».

Questo ragionamento potrebbe avere, però, un’obiezione che sta nella cronaca dell’ultimo mese: le proteste degli abitanti di Terzigno e Boscoreale sembrebbero raccontare una storia diversa. Anche nella lotta contro l’apertura della discarica di Cava Vitiello, probabilmente, la camorra è riuscita ad avere un ruolo. Ma si è limitata, secondo i magistrati, a irruzioni notturne. Di giorno la protesta era autorganizzata da liberi cittadini a volto scoperto, da intere famiglie. Per questo Daniele Sepe, cantautore napoletano di successo che si autodefinisce comunista (ha pubblicato tutti i suoi album con Manifesto Libri), è comvinto che il ragionamento deve essere impostato diversamente: «Se per società civile si intendono gli avvocati, i medici, gli intellettuali è vero che è tutto fermo. Ma loro vivono a Posilippo, a Mergellina, dove di immondizia ce ne è poca e la puzza non arriva.  La vera società civile è quella di Chiaiano, è quella di Terzigno, che reagisce».

Di parere opposto è Franco Rendano. È professore di chirurgia e soprattutto presidente di N-Up, che riunisce le più importanti associazioni culturali napoletane: «Non ci siamo assuefatti alla monnezza. Ci siamo purtroppo abituati alla distanza tra cittadini e istituzioni. C’è uno scollamento e un’impenetrabilità tra la società civile e le persone che ci governano. Ma è una cosa che riguarda anche tanti altri posti in Italia». Dove, però, non si è costretti a camminare tra cumuli di spazzatura che nessuno sembra in grado di rimuovere e roghi improvvisati per disperazione.
Fonte:
http://www.terranews.it/news/2010/11/napoli-la-rassegnata

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