sabato 20 novembre 2010

Dramma-rifiuti, Napoli da oggi è sola


Caldoro: tre anni per uscire dal caos
Mano tesa dalla Toscana: «Ma ora serietà»

NAPOLI ( 20 novembre) - Dramma-rifiuti: «Se saremo bravi, in trentasei mesi ne saremo fuori. È il tempo minimo necessario per realizzare due termovalorizzatori e gli altri impianti di cui c'è bisogno».
Lo afferma il governatore della Campania, Stefano Caldoro. «Spazzatura nelle altre Province ne sta già andando - continua Caldoro - ma ovviamente in quantità limitate. Per trovare nuove discariche e altri siti occorrono minimo tre mesi, e non li devo trovare io, non li deve trovare la Regione. Per i flussi extraregionali dobbiamo cominciare subito».

«Il Codice per l'ambiente, che in materia di rifiuti è unanimemente considerato una specie di Vangelo, prevede chiaramente che la spazzatura possa essere trasferita da una Regione a un'altra purchè, è scritto, ce ne sia 'l'opportunità tecnico-economicà. Insomma, se è per fare business sì e in una situazione come questa no? Che facciamo applichiamo il federalismo al business e non all'istituzionale? Mi sembra un modo ben strano di concepire il federalismo. E a essere sincero non è nemmeno l'unica stranezza che percepisco», conclude.


Una risorsa in Toscana. «Siamo pronti ad accogliere i rifiuti della Campania: noi, come ha scritto Dante, non facciamo per viltà il gran rifiuto, la monnezza di Napoli è un problema nazionale». Così il governatore della Toscana, Enrico Rossi, in un'intervista al 'Corriere '. «Ci auguriamo solo che le altre regioni ci seguano e che - continua - in Campania il problema venga risolto con serietà e fermezza».

«Una cosa deve essere chiara - sottolinea Rossi - la nostra disponibilità a farci carico del problema rifiuti non è un aiuto a questo governo. Ma un modo per smascherare la politica di proclami, spot ed egoismi messa in piedi da Berlusconi. Un governo che ha fallito su tutti i fronti. A Napoli, dove solo il 29 ottobre scorso il premier assicurò che in 3 giorni avrebbe risolto tutto: e oggi vediamo i risultati. Per non parlare del terremoto in Abruzzo. Del crollo di Pompei».

«Noi aiutiamo i cittadini. Mi fa sinceramente pena vedere i napoletani ammorbati e assediati dalle esalazioni dei rifiuti, e non per colpa loro. Il nostro è anche un modo per far capire che in questo Paese valori come solidarietà e dignità hanno ancora un senso», conclude.

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IL RACCONTO
di Pietro Treccagnoli

Immaginate di essere in sella a un vespino come quello di Nanni Moretti nel primo episodio di «Caro Diario». Sostituite la svuotata estate romana con l’ingolfato autunno napoletano. Mettete una colonna sonora neomelodica, nordafricana, o al massimo dub. E via andare. La città non vi risparmierà sacchette a piede libero, montagne di monnezza di ogni natura, monumenti barocchi che desideremmo effimeri, olezzi ammorbanti. Benvenuti nel disastro ambientale e nel miracolo imploso.

Da Palazzo San Giacomo arriva il solito bollettino di guerra. Ieri le tonnellate stanziali di spazzatura erano scese a quota 2400. Nella notte appena passata era prevista una raccolta di altre 300 tonnellate.

La stima sembra ottimista. In ogni caso è destinata a peggiorare. Tutto va a finire nell’impiant Stir di Caivano (quello di Giugliano è chiuso), dove ieri c’è stato un incendio (provocato probabilmente dalla fermentazione dei rifiuti) e a Chiaiano.

Ma da oggi tutto precipiterà. È scaduta l’accoglienza delle province di Caserta ed Avellino. E come gridava Totò nel finale di un famoso film: «Ormai le hanno chiuse, arrangiatevi».

Grande la confusione sotto il cielo della politica, quindi la situazione resta la peggiore. E non risparmia quasi niente e nessuno. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Si va dove ci porta il "fiéto".

Centro e periferia pari sono. Resiste, stranamente, qualche area. Più che macchie di leopardo sembrano cantoni svizzeri, ma assediati da vagonate di sporcizia che la pioggia gonfia e il pallido sole di novembre non ha il tempo di asciugare. Non c’è strada che la scampi. Via Marina è costellata di montagnole. Corso Umberto è un rettifilo di spazzatura che assedia i negozi, spaventa i passanti, costringe gli studenti diretti all’Università a slalom tra marciapiede, carreggiate e cordoli. I vicoli del centro antico trasudano olezzi che risalgono ai coloni greci. Accanto alla chiesa barocca del Purgatorio ad Arco, quella delle "capuzzelle", c’è un’indicazione turistica con i tradizionali teschi.

Più che una danza macabra sembra un avvertimento di pericolo imminente. Almeno così l’interpretano i turisti che neanche scattano più, tanto ne hanno le fotocamere piene. A via Foria i marciapiedi sono uno sversatorio. Figuriamoci cosa nascondono i vicoli senza sole e mare della Sanità: divieto d’accesso al basso. Non è risparmiato nemmeno largo Donnaregina: i cassonetti davanti all’ingresso della Curia straripano, nonostante qui in zona non abiti tanta gente. Al cardinale che ha alzato la voce contro l’aria malefica che avvelena spirito e corpo non è riservato un trattamento migliore del comune cittadino.

Eppure circola una leggenda metropolitana secondo la quale ci sarebbe un elenco di vie, piazzette o condomini da tenere lindi e pinti, perché vi abitano politici, magistrati, uomini delle istituzioni, particolarmente esigenti e, mormorano gli addetti ai livori, notoriamente rompiscatole. A girare come trottole, si direbbe che la lista è completamente saltata.

È pulita buona parte dei Colli Aminei dove si fa la differenziata: solo davanti a qualche supermercato si accumulano cassette, cartoni e buste di plastica.

L’unica vera eccezione, scopriamo, è via Maria Cristina di Savoia, la discesa che collega via Tasso al corso Vittorio Emanuele. Cassonetti completamente svuotati e puliti, neanche una carta in strada. Qualcuno dalle finestre ci spiega che si vede al lavoro persino lo spazzino. Non è ancora mezzogiorno di sicuro non ha bevuto. Appena giù dai tornanti elvetici, all’incrocio con il Corso, subito sulla destra c’è monnezza traboccante. E verso la stazione di Mergellina, un barbone con due cani al guinzaglio, orina senza pudore contro i cassonetti rigonfi, in pieno giorno. Si ferma, si sbottona, si svuota e se ne va. Nessuno si indigna o si meraviglia.

Le sacchette e i rifiuti speciali sono persino a piazza Municipio o davanti alla sede dell’Asl o a quella del Cnr a via Pietro Castellino. Non si fa a tempo a svuotare. L’apoteosi, però, è al Vomero. Non c’è una strada che si salvi. L’area pedonalizzata di via Luca Giordano è un campo di battaglia dove la spazzatura si mescola con le foglie morte in una scenario iracheno.

Chiaia e Posillipo, i quartieri cosiddetti borghesi, pagano il prezzo di un maggiore consumo. E la vista da largo Sermoneta, davanti alla fontana del Sebeto, con il vulcano sullo sfondo della cartolina di Napoli, fa bella mostra una raccolta di bidoncini vuoti di olio di semi di girasole.

A fianco c’è un raccoglitore bianco per carta con la scritta Comune di Torre del Greco, ma non si capisce se serva a raccogliere la monnezza o faccia parte della monnezza.

All’emiciclio di corso Amedeo di Savoia, prima del ponte della Sanità, c’è il monumento che celebra il re buono, Umberto I. Ricorda una sua celebre frase e un suo clamoroso gesto durante il colera di fine Ottocento. Il morbo impestava la città e lui, preferendo a una celebrazione al Nord la partecipazione al dolore partenopeo, dettò: «A Pordenone si fa festa, a Napoli si muore, vado a Napoli».

Ora accanto alla stele di pietra nera, abbellita con una corona, s’innalza un mucchio di monnezza. Erano gli anni del contagio e il ventre di Napoli è rimasto sempre pieno, impudico anche davanti a regali memorie. A Napoli non si muore, per fortuna, ma comunque non si vede nessuno.
Fonte:  
http://www.ilmattino.it/articolo.php?id=127473&sez=NAPOLI#

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