venerdì 17 dicembre 2010

L'assedio della stampa popolare a Frau Angela

di Romano Beda
«Non è possibile», risponde un navigato esponente dell'establishment tedesco. «Non c'è personalità che conti in Germania ché non vi dia un'occhiata. La seconda pagina, dedicata alla politica, è una lettura obbligata per chiunque a Berlino».

Il quotidiano «popolare, ma non populista» come assicura il suo direttore Kai Dieckmann, è un protagonista della vita tedesca. Ieri, alla vigilia del vertice europeo, il cancelliere Angela Merkel ha rilasciato una nuova intervista al giornale più letto di Germania. «Signora Merkel, dobbiamo noi tedeschi sborsare di nuovo per tutta l'Europa?», era il titolo. Ancora una volta il quotidiano dai toni forti ha voluto accattivarsi il tedesco preoccupato per i suoi risparmi, timoroso dei poteri della burocrazia comunitaria, sospettoso dei suoi partner europei. Ogni giorno Bild vende oltre tre milioni di copie, ma ha 12,5 milioni di lettori, vale a dire il 18% della popolazione tedesca con più di 14 anni. In questi mesi il giornale della kleine Leute, della piccola gente, ha dato voce alle paure della Germania profonda, diventando la cassa di risonanza dei sondaggi di cui i tedeschi sono grandi consumatori. Per un qualsiasi cancelliere, e in particolare per la signora Merkel, è un termometro difficile da trascurare.

Qualche giorno fa notava che l'Europa e la Germania hanno «750 miliardi di euro da offrire per salvare i paesi falliti, ma nessun denaro per finanziare un calo delle tasse». Nel pieno della crisi irlandese si chiedeva: «Dobbiamo forse pagare per tutta l'Europa?». In primavera quando la Grecia era sull'orlo del tracollo aveva esortato il governo greco a vendere le proprie isole, facendo propria una proposta di un deputato tedesco.

A fondare Bild fu un editore controverso e polemico: Axel Springer. Legato ai democristiani, era ferocemente anticomunista. Il primo editoriale nel 1952 aveva un titolo che voleva rassicurare contro un'eventuale invasione da Est: «La frontiera a Helmstedt (tra le due Germanie, Ndr) è blindata». Criticò aspramente il '68, e quando Heinrich Boll chiese un processo giusto per i membri della RoteArmee Fraktion, il giornale lo biasimò apertamente.

Qualche anno dopo Boll pubblicò "L'onore perduto di Katharina Blum", la storia di una signora vittima degli attacchi di un giornale. Dal canto suo, lo storico Golo Mann non esitò a puntare il dito contro «lo strapotere di Springer», accusandolo di essere «un problema centrale della Repubblica» e dubitando della deontologia del quotidiano. La stampa tedesca non è priva di una vena nazionalistica, ma può essere senza scrupoli contro la classe politica. Nel 1962 il settimanale Der Spiegel provocò le dimissioni di Franz Josef Strauss, rivelando il cattivo stato dell'esercito e provocando la rabbia dell'allora ministro della Difesa. Nel 2004 Bild criticò le riforme del cancelliere Gerhard Schroder. Per ripicca quest'ultimo decise di non concedere più interviste. La vendetta del giornale fu luciferina: intervistò per giorni alcuni omonimi del cancelliere, tutti critici del capo del governo. Con la sua intervista di ieri la signora Merkel ha ricordato che Bild è anche uno strumento della politica: «Milioni di posti di lavoro - ha detto - dipendono dalla moneta unica. Abbiamo tutte le ragioni di difenderla. Ha paragonato la salvezza dell'euro con l'unificazione tedesca, scelta «dolorosa ma mai dubitata». Il parallelo non è banale: utile a pungolare l'orgoglio dei suoi connazionali e a rispondere all'opposizione che l'accusa di essere poco europeista.
http://rassegnastampa.mef.gov.it/


 

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