venerdì 17 dicembre 2010

L’economia secondo Vendola

di Sandro Brusco, Stony Brook University, New York
Le quotazioni di Nichi Vendola sono in costante crescita ed è giunto il momento di esplorare, al di là degli slogan e delle dichiarazioni altisonanti, qual è la sua effettiva proposta di politica economica.

La sua esperienza come governatore della Puglia non è di particolare aiuto. L’Italia non è un paese federale e la politica economica che si può attuare a livello regionale sulla variabili che contano, in particolare le decisioni di tassazione e spesa pubblica, ha ben poco a che vedere con le decisioni intraprese a livello centrale. Il giudizio, necessariamente provvisorio, sulla proposta economica di Vendola deve quindi basarsi sulle sue (poche) uscite pubbliche sul tema. Baserò la mia analisi su due interviste che Vendola ha rilasciato al Sole 24 Ore, una lo scorso 27 ottobre e l’altra il 21 agosto. Il materiale è limitato, ma alcune idee risultano abbastanza chiare.

Lo Stato e la crisi
I cardini di qualunque organica di politica economica dovrebbero essere due. Primo, dato che l’Italia manifesta da più di un decennio un drammatico problema di crescita del reddito e della produttività, occorre un’analisi delle ragioni di tale crisi e una proposta per riattivare il processo di crescita. Secondo, dato che l’Italia resta un paese con un altissimo debito pubblico occorre spiegare come si intende ripagare tale debito. La prima questione è normalmente ignorata nel dibattito politico. Il centrodestra ha propagato l’assurda favola del paese in cui va tutto bene, facendo finta che i problemi non esistano. Il centrosinistra oscilla tra timide proposte di liberalizzazione e difesa dello status quo. La seconda questione è invece normalmente affrontata in modo sostanzialmente simile nei due schieramenti: il debito si paga tassando in modo massiccio gli italiani e senza toccare la spesa pubblica. Sto parlando dell’azione concreta di governo, non dei proclami retorici. In questo quadro, qual è la novità della proposta di Vendola? Direi nessuna.

Spero di non far troppa violenza al pensiero di Vendola se dico che le risposte che appaiono dai suoi interventi sono: 1) la produttività è bassa perché le imprese non investono e non innovano; 2) la soluzione è un attivo intervento dello Stato che dovrebbe investire direttamente e finanziare le imprese nei settori più utili alla crescita della produttività. Vendola quindi pensa che i politici siano più bravi degli imprenditori a scegliere gli investimenti e le industrie giuste. Questo è quello che pensano e fanno anche Berlusconi e Tremonti, per esempio dirigendo l’operazione Alitalia o sussidiando l’acquisto di motori fuoribordo e altri aggeggi i cui produttori stanno simpatici al governo. Se decenni di partecipazioni statali, interventi straordinari, cattedrali nel deserto e altri simpatici frutti degli “investimenti strategici” guidati dalla mano pubblica non sono stati sufficienti a convincere che sia una cattiva idea presumere che i politici sappiano meglio degli altri come investire i soldi (sempre degli altri), dubito che niente possa esserlo.
Anche su spesa pubblica e tassazione la posizione di Vendola manifesta una sostanziale continuità con il pensiero unico delle classi dirigenti politico-economiche italiane. Per esempio, nell’intervista di agosto, Vendola afferma che “occorre sostenere la domanda interna, dare ossigeno ai ceti medio-bassi, aumentare l’area di consumo, sbloccare la spesa degli enti locali ibernata dalle ridicole penalità delle norme sul patto di stabilità”. Andando al sodo, Vendola propone di sussidiare i consumi privati e aumentare la spesa pubblica locale. Questo può sembrare diverso da ciò che sta facendo Tremonti ma non lo è affatto. Per esempio, appena insediato, Tremonti si sbracciava affermando la necessità di ”sostegno della domanda”, che poi voleva dire abolire l’Ici. E quando giunge l’ora, la faccia dura del Tremonti rigorista si trasforma sempre nel sorriso compiacente del distributore di mancette, basta guardare l’ultimo maxi-emendamento alla legge finanziaria, in cui tra le altre cose si viene incontro esattamente alla richiesta vendoliana di allentare il patto di stabilità per i comuni.

Un giorno al governo
Se mai andasse al governo Vendola, che ha più volte dato prova di pragmatismo, dovrebbe prendere atto dei vincoli imposti dalla presenza di un debito pubblico che naviga al momento verso il 120% del Pil. Il governo non può allentare i cordoni della Borsa. Se i mercati si convincessero che il tempo della responsabilità è passato, i tassi sul debito schizzerebbero immediatamente a livelli greci o irlandesi. Vendola lo sa, e sa anche che più di tanto le tasse non si possono aumentare. Ne segue che grandi programmi di aumento della spesa pubblica, indipendentemente dal giudizio sulla loro desiderabilità, semplicemente non sono possibili. Per cui tutte le menate sull’allargamento dell’area del consumo e sulla spesa degli enti locali non possono che ridursi, in perfetta continuità con la linea seguita finora, in interventi cosmetici e necessariamente di entità ridotta. In altre parole, cose come la detassazione dei premi di produzione e gli “incentivi” per motori fuoribordo, probabilmente con un twist di sinistra. Poca roba, comunque. Nel frattempo, la pressione fiscale verrà mantenuta agli attuali, insopportabili, livelli. Una volta esclusa la possibilità di una riduzione della spesa pubblica questa è infatti l’unica alternativa che resta alla crisi finanziaria.

Non sono in grado di esprimere un giudizio globale sulla proposta politica di Vendola. Per ciò che riguarda la politica economica, che è l’unica area in cui posso esprimere un giudizio informato, mi pare che non ci sia alcuna novità. Mi aspetto quindi che, se Vendola si trovasse un giorno a Palazzo Chigi, la stagnazione italiana continuerebbe, più o meno con le stesse modalità con cui è continuata sotto i governi di centrodestra.
Il Fatto Quotidiano, 16 dicembre 2010
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/12/16/le-quotazioni-di-nichi-vendola-sono-in-costante/82199/


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