lunedì 22 novembre 2010

IL CASO/ Campiglio: 5 misure per aiutare famiglia (e Pil) a non andare in crisi


Luigi Campiglio
venerdì 19 novembre 2010
La crisi mondiale ridisegna la mappa degli equilibri del potere economico e politico: mentre il mondo asiatico ha il problema di un’inflazione in crescita a causa di un’economia che ha ripreso a correre troppo, l’Italia - avendo ormai alle spalle quasi un ventennio di progressivo rallentamento - oggi corre così poco da sembrare ferma e sulle famiglie italiane ricade il costo economico e sociale di una violenta crisi sistemica che ha aumentato le disuguaglianze interne.

La creatività e l’energia di una massa di giovani, che rappresentano la vera ricchezza economica del paese, è imprigionata nella gabbia di lavori incerti e precari, anche se è da loro che proviene la spinta più forte all’innovazione e alla crescita della produttività. I paesi emergenti che attraggono gli investimenti mondiali, come la Cina, il Brasile, l’India, la Russia, ma anche la Turchia, sono paesi giovani, condizione necessaria anche se non sufficiente per la crescita. Così come sono paesi molto più giovani dell’Italia anche gli Stati Uniti, il Regno Unito o la Svezia, la cui produttività del lavoro è in continuo aumento.

La caduta della natalità in Italia è lo specchio delle difficoltà economiche delle famiglie e della crescente incertezza macroeconomica derivante dal continuo aumento della disoccupazione giovanile: la paradossale conseguenza è un paese anziano - secondo solo al Giappone - che registra una diminuzione della popolazione, un aumento rilevante dell’immigrazione in segmenti del lavoro a non elevata qualificazione e un’emigrazione dei giovani italiani più qualificati. La questione della famiglia è, insieme al sottodimensionamento delle imprese italiane, il nodo centrale che occorre affrontare per restituire un futuro al paese, pur in un tempo di crisi: la famiglia è l’istituzione chiave per la crescita del paese e laddove l’istituzione familiare registra crisi e cedimenti, come negli Stati Uniti, le conseguenze negative sul piano sociale ed economico lasciano impressionati.

Il problema è che l’istituzione della famiglia è diventata in molti paesi il terreno di dispute ideologiche e in Italia ciò ha avuto come conseguenza l’assenza costante della famiglia dall’agenda politica: la famiglia è diventata un omaggio rituale di cortesia politica presente in tutti i programmi elettorali, ma l’averla ignorata nei fatti è la causa ultima dei problemi economici in cui ci troviamo.

Per questi motivi è ragione di sopravvivenza economica la consapevolezza di individuare le linee di una politica economica per la famiglia, perché in questa fase economica delicata è cruciale investire le poche risorse disponibili su interventi a elevato rendimento sociale, proteggendo le priorità con lo scudo d’ imposte finalizzate istituzionalmente ad uno specifico scopo. Al tempo stesso, tenendo presente i vincoli di finanza pubblica, occorre promuovere nel mercato e fra gli investitori istituzionali gli spazi di una nuova finanza sociale.
Sulla base di queste linee di azione, tenendo conto dell’opportunità di interventi mirati e urgenti, la misura più efficace è quello di estendere ai redditi medi l’area di piena titolarietà degli assegni familiari. A questo riguardo va ricordato come nel 1996 sono state tolte risorse alle famiglie per assegni familiari e maternità, che corrispondono a circa 8 miliardi a prezzi 2010, restituibili in tranches, che rappresenterebbero un segnale di inversione di rotta, oltre che una boccata di ossigeno per le giovani famiglie con figli.



La seconda misura proposta è quella di innalzare a 8 mila euro la soglia di reddito necessario per essere considerati familiari a carico: al riguardo va ricordato, come esempio emblematico, che tale valore è fermo a 2.841 euro dal 1995, cioè da ben 15 anni. Una seria politica per la famiglia non può dipendere dalla benevolenza o dalla memoria del governo in carica.

È altresì necessario introdurre un principio di indicizzazione per tutte le misure che riguardano la famiglia, a partire dalle detrazioni: ad esempio le detrazioni per il coniuge sono rimaste fisse a 497 euro dal 1996 al 2005 e sono fisse a 290 euro dal 2007 a oggi.

Dal punto di vista della finanza sociale l’investimento privato che occorre promuovere su vasta scala è quello dell’housing sociale, che non significa case popolari, ma normali case il cui costo è depurato dalla rendita urbana. Per chi volesse toccare con mano l’effetto che ciò può avere sul tessuto urbano, sullo spazio che con ciò si apre ai giovani e alle giovani coppie, non ha che da considerare l’esperienza di Berlino. A ciò si aggiunga che l’investimento in housing sociale mobilizza risorse locali con un elevato moltiplicatore di reddito occupazionale, favorisce la mobilità territoriale e la flessibilità del lavoro.

Infine occorre un’attenta valutazione ex-post della legislazione del lavoro, per individuare quali sono le esperienze positive e quali quelle da migliorare o trasformare, con l’obiettivo di ridurre la precarietà, aumentare il reddito considerato permanente dalla famiglie giovani, sulla cui base esse possono ragionevolmente formulare progetti per il proprio futuro.
Fonte:
http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2010/11/19/IL-CASO-Campiglio-5-misure-per-aiutare-famiglia-e-Pil-a-non-andare-in-crisi/2/127901/

Nessun commento: