venerdì 26 novembre 2010

Il premier e i «nemici» esteri: laggiù qualcuno lo odia



di Pino Buongiorno
Non è che siano mai stati con le mani in mano. L’Italia, in fin dei conti, è «una piazza calda», per dirla con un ambasciatore straniero di lungo corso.
Ma da qualche settimana diplomatici, consulenti di banche di affari e di multinazionali, esperti dei principali centri studi, antenne dei servizi segreti sono in grande affanno fra Roma e Milano.
Devono riferire a Washington, a Pechino, a Parigi, a Mosca, a Wall Street e alla City londinese cosa diavolo sta succedendo al governo italiano, quale sarà la più probabile svolta politica, in che misura i conti pubblici possono ancora reggere oppure se ci siano le condizioni per guadagnare con speculazioni finanziarie. Ma soprattutto quale sarà il destino di Silvio Berlusconi, la figura centrale del sistema politico ed economico italiano negli ultimi 16 anni.

I quotidiani anglosassoni dedicano decine di articoli alle ultime evoluzioni della politica pubblica e privata con un particolare focus sull’«eredità di Berlusconi». Il settimanale Newsweek mette in copertina, nel suo ultimo numero, il Berlusconi’s girl problem» e pubblica due lunghi articoli sulla «sua cultura dell’harem che sta minando l’economia italiana e il suo governo». Nella lontanissima Australia il giornale Financial Review intervista il tycoon dei media Rupert Murdoch, che ne approfitta per ricordare che «in Italia c’è un nuovo scandalo» attorno alle vicende di Ruby, raccontate nei minimi dettagli.

Perché succede tutto questo? Perché sarebbe in atto «un complotto internazionale», come adombrano alcuni collaboratori del leader del Pdl, paragonando la parabola di Berlusconi a quella di Bettino Craxi e di Giulio Andreotti? O semplicemente perché il presidente del Consiglio è «un uomo politico atipico, che spiega non poco del suo successo, ma che quando tracima in certi eccessi appare al di fuori degli standard incarnati da un leader di una democrazia evoluta», come riassume Vittorio Emanuele Parsi, docente di relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano?

Per andare oltre le apparenze bisogna fare una distinzione. Da una parte c’è da valutare il rapporto politico e personale del primo ministro italiano con gli altri governanti. Dall’altra, la sua controversa relazione con le lobby internazionali.

Cominciamo dal capo di stato più influente, Barack Obama. È evidente che con il presidente democratico non c’è la stessa amicizia rinsaldata, a partire dall’11 settembre 2001, con il repubblicano George W. Bush. Ma si può parlare di ostilità da parte della Casa Bianca? Da pragmatico, il presidente americano misura le alleanze sulla base dell’accettazione dei dossier più spinosi, che per lui al momento sono Afghanistan e Iran. Ebbene, nemmeno il più accanito avversario può sostenere che il governo italiano su queste due questioni si sia dimostrato un alleato poco affidabile.

Ha sempre fornito tutte le truppe richieste dalla Nato e dal Pentagono (a volte di più, rilanciando l’immagine delle forze armate) e ha aderito immediatamente alle sanzioni economiche contro il regime teocratico, fino a congelare gli affari delle imprese italiane con Teheran. È vero che qualche screzio si è registrato quando Obama in prima persona non ha per nulla gradito il ruolo di mediatore fra Usa e Russia ritagliatosi dal premier italiano. È vero che anche il dipartimento di Stato, su istruzione di Hillary Clinton, è più volte intervenuto lamentando un’eccessiva dipendenza energetica dell’Italia dalla Russia. Ma «parlare di complotti è davvero fuori luogo» afferma Parsi. «Gli Usa non gradiscono, ma neppure ne fanno un dramma».

Quel che Washington preferirebbe, hanno detto a Panorama autorevoli fonti diplomatiche americane e italiane, è una «maggiore sobrietà» nei rapporti bilaterali sia con Vladimir Putin sia con Muammar Gheddafi. Insomma, va bene «la diplomazia della dacia» e «della tenda», ma andrebbero evitate le escursioni private sul Mar Nero e le visite a Roma con cavalli berberi e amazzoni.

Quanto alla «politica degli affari», rilanciata da Berlusconi e dal suo governo, questa crea sicuramente una maggiore competitività sui mercati internazionali, ma non è un’eccezione. I rapporti internazionali si possono misurare con la minore o maggiore simpatia personale, ma alla fine quello che conta è la realpolitik. È noto che con Angela Merkel Berlusconi non ha alcuna affinità antropologica, eppure questo non fa cancellare i vertici bilaterali, come quello messo in programma il prossimo 12 gennaio. La stessa cosa con il neoinquilino di Downing Street, David Cameron. Con lui, che pure è un conservatore, Berlusconi non ha la stessa dimestichezza che aveva con il laburista Tony Blair, però questo non inficia le relazioni politiche ed economiche fra Regno Unito e Italia. Con il presidente francese Nicolas Sarkozy la chimica politica è sicuramente migliore, ma tutti sanno che i due leader «sono due galli nello stesso pollaio europeo», come sostiene un diplomatico francese.

Sul fronte non governativo, di tutt’altro tenore appaiono i rapporti con i poteri forti internazionali: lobby e giornali. Qui Berlusconi ha molti nemici giurati. E nemmeno lui, commettendo probabilmente un grosso errore di sottovalutazione, si è sforzato più di tanto per ingraziarseli. L’elenco è lungo. Lo apre sicuramente la lobby petrolifera delle ancora dominanti «sorelle», non più sette, come ai tempi di Enrico Mattei, ma pur sempre vive e pugnaci. Il patto di ferro Eni-Gazprom in Russia, in Turchia e, di recente, anche in Libia, sancito dall’amministratore delegato Paolo Scaroni e benedetto dal governo, crea un’avversione crescente di Exxon Mobil, Shell, Total e Bp, appoggiate dai rispettivi capi di stato.

Né è certamente tenera con l’Italia la grande finanza internazionale, in particolare quella rappresentata da un personaggio simbolo come George Soros. Un po’ perché Berlusconi e il suo ministro dell’Economia Giulio Tremonti sono stati fra i più accesi sostenitori della necessità di arginare le scorribande dei finanzieri senza scrupoli, con regole più severe e punitive. Un po’ perché il governo di Roma non ha permesso alcun tentativo di assalto alla diligenza, come stava per accadere nello scorso inverno.

Terza lobby antiberlusconiana: quella raffigurata da Murdoch e dal suo sistema di media (soprattutto quello anglosassone, meno pronunciato quello di Sky Italia). È lo stesso magnate, nell’ultima intervista al Financial Review, a rivelare il principale motivo del contendere: il rallentamento della campagna di abbonamenti ai canali satellitari a causa del raddoppio dell’iva (20 per cento) «imposto dal governo», a suo dire. «Questo ha bloccato i nostri progetti per circa un anno» si è lamentato ancora Murdoch. Meglio lui comunque, con la sua denuncia pubblica, che i tanti che tramano nell’ombra di certo assai più insidiosi per «l’atipico Berlusconi».
Redazione - Venerdì 26 Novembre 2010
Fonte: 
http://blog.panorama.it/italia/2010/11/26/il-premier-e-i-«nemici»-esteri-laggiu-qualcuno-lo-odia/


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