mercoledì 17 novembre 2010

La crisi del debito irlandese colpisce le banche italiane


Male in Borsa gli istituti che hanno investito nei titoli di Stato per gonfiare gli utili in tempo di crisi
Di Vittorio Malagutti dal Fatto Quotidiano del 17 novembre 2010
La paura dell’inflazione made in China. E poi soprattutto l’euro in balia dei guai d’Irlanda, Portogallo e Grecia. Nasce da qui l’onda anomala di ribassi che ieri ha colpito i mercati finanziari mondiali. Risultato: Milano giù del 2,1 per cento, Londra in calo del 2,4, Parigi in ribasso del 2,6 e Francoforte dell’1,9.

L’Europa si è svegliata con le ultime notizie della Borsa di Shangai, messa al tappeto (meno 4 per cento) dai timori diffusi che la banca centrale di Pechino potrebbe presto alzare i tassi d’interesse per raffreddare l’economia locale. E nel Vecchio Continente le cose si sono subito messe anche peggio con gli investitori costretti ad assistere al balletto di dichiarazioni dei politici sulla gestione della crisi finanziaria irlandese. Pesano le parole di Eduard Van Rompuy: “I problemi di bilancio di alcuni Paesi Ue potrebbero mettere a rischio la stessa sopravvivenza dell’euro”, ha dichiarato il presidente dell’Unione europea. Non è esattamente quello che ci vuole per smorzare la tensione già altissima durante la riunione dell’Eurogruppo, cioè i ministri finanziari dei Paesi che fanno parte dell’unione valutaria e in vista del meeting di oggi dell’Ecofin, allargato ai rappresentanti di tutti 27 membri Ue. Il problema del giorno è quello bilancio pubblico irlandese, a rischio default soprattutto a causa dei conti dissestati delle sue principali banche.

A questo punto l’ipotesi in discussione è quella di un’iniezione di liquidità a favore del governo di Dublino gestita dalla Ue. Obiettivo finale: far fronte a una ricapitalizzazione degli istituti di credito in difficoltà. I tedeschi però frenano, mentre i politici irlandesi tentano di sottrarsi alle misure di austerità che sarebbero imposte da Bruxelles in cambio degli aiuti.
Si vedrà, forse già oggi. In Borsa però sanno bene che anche il Portogallo se la passa male e la Grecia è tutt’altro che fuori pericolo. Ma l’effetto domino finisce per colpire anche Spagna e Italia, percepiti come paesi a rischio. Ed ecco che il rinnovato allarme sul debito sovrano innesca un’ondata di ribassi che si concentra in particolare sui titoli finanziari. Innanzitutto le banche, quindi, che perdono terreno a Madrid, come a Parigi e Francoforte. E ovviamente anche a Milano. Penalizzati gli istituti con i bilanci meno brillanti. Quindi Popolare Milano (meno 4,9 per cento), Monte dei Paschi (meno 2,6), Banco Popolare (meno 2,5) e anche Unicredit in ribasso dell’1,9 e Intesa giù dell’1,1 per cento. L’esposizione di queste banche verso i Paesi nella bufera, (Irlanda, Portogallo e Grecia) non sembra al momento allarmante. Intesa a giugno (ultimo dato disponibile) aveva in portafoglio titoli greci per 650 milioni, su attività complessive per decine di miliardi. Il rischio Irlanda del Monte Paschi supera di poco i 180 milioni, mentre il Banco Popolare nei conti semestrali ha dichiarato bond greci per 83 milioni.

Non sono questi però i numeri che mettono in allarme analisti e investitori. Il fatto è che le banche nostrane da un anno e più stanno acquistando titoli di stato italiani in misura molto superiore al passato. Semplificando al massimo si può dire che i banchieri risparmiano sui crediti alla clientela per accumulare attività finanziarie, in gran parte obbligazioni pubbliche relativamente sicure e a rendimento elevato. Quello che ci vuole per dare una spinta ai profitti in una fase di magra, a dir poco, dell’attività tradizionale. Qualche esempio. A fine settembre Intesa dichiarava attività finanziarie per 188 miliardi, quasi il 20 per cento in più di fine 2009. Le attività negoziabili del Monte dei Paschi, per la maggior pate costituite da titoli pubblici, sono aumentate da 38 a 54 miliardi nei primi nove mesi di quest’anno.

Tutto bene, se non fosse che le turbolenze sui mercati finanziari hanno cambiato le carte in tavola. Se c’è bufera sull’euro, se Irlanda e Grecia temono il crac, anche il rischio Italia aumenta, come dimostra l’aumento a livelli record del differenziale di rendimento tra i Btp italiani e i bund tedeschi. Risultato finale: calano le quotazioni dei titoli di stato italiani, proprio quelli di cui hanno fatto incetta gli istituti di credito. In teoria, quindi, c’è la possibilità concreta che le banche siano costrette a svalutare i loro attivi per allinearli alle nuove quotazioni. Va detto che i manager bancari dispongono di margini di manovra piuttosto ampi nella classificazione contabile dei titoli proprio per evitare pesanti perdite provocate dall’adeguamento ai prezzi di mercato.
A ben guardare però dai bilanci emerge già qualche dato negativo. Nella semestrale aggiornata a giugno, il Monte dei Paschi segnalava che il patrimonio netto del gruppo si era ridotto di 881 milioni per effetto della svalutazione di titoli di stato italiani. E l’effetto negativo è proseguito anche nei mesi estivi se è vero, come risulta dalla relazione trimestrale di settembre, che l’apposita riserva da valutazione si è ridotta di altri 70 milioni circa. Anche nei conti di Intesa questa stessa riserva ha perso circa 180 milioni in nove mesi a causa della svalutazione di titoli in portafoglio. Sono perdite consistenti, ma non drammatiche. Almeno per adesso.

Nel frattempo però la Banca d’Italia ha lanciato un salvagente agli istituti. Un provvedimento ad hoc varato a maggio stabilisce che le minusvalenze sui titoli di Stato dell’area Ue non vanno detratte dal patrimonio di vigilanza, il parametro utilizzato per misurare la solidità dei bilanci. Un aiutino che al momento vale decine di milioni per le banche principali.
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