lunedì 27 dicembre 2010

Lavoratori di un call center, in Calabria

Di:
Antonio Di Pietro  - Presidente Nazionale dell' Idv
Maurizio Zipponi -  Responsabile Nazionale Dipartimento Lavoro

Lunedì 27 Dicembre 2010 08:57
Oggi vogliamo parlare non di lavoratori che stanno lottando per difendere il loro posto di lavoro ma di lavoratrici e lavoratori che ce l'hanno fatta e il posto di lavoro sono riusciti a conservarlo, a evitare la chiusura e la disoccupazione. Sembra una storia a lieto fine, e un po' lo è pure. Ma mica tanto però, perchè alla fine questi lavoratori si ritrovano come all'inizio. Un lavoro ce l'hanno ancora, ma pagato zero e senza nessun diritto, nemmeno quello minimo a una rappresentanza sindacale.


E allora come si fa a parlare di lieto fine? Parliamo dei dipendenti del call center Call&Call di Rende in Calabria. L'azienda è di Varese. Qualche anno fa ha deciso di aprire una sede anche in Calabria per approfittare dei fondi regionali. Hanno fatto un affarone! Si sono presi i soldi del fondo, hanno guadagnato sul lavoro del call center che aveva alcune commesse importanti e una importantissima, quella di Mediaset premium, e in cambio non hanno dovuto sborsare un euro. Com'è possibile? Non è solo possibile. E' facile. Basta assumere lavoratori e invece di pagargli uno stipendio dargli una percentuale sulle provvigioni.  Un lavoro a costo zero così non lo trova nemmeno Marchionne in Polonia o in Brasile! I ragazzi di Rende hanno accettato quel contratto che era come un cappio al collo perchè era sempre meglio della disoccupazione totale. E per avere almeno un piccolo reddito hanno dovuto sacrificare ogni diritto sindacale. Con i sindacati si sono dovuti impegnare a non parlarci nemmeno, e un impiegato che ha osato provarci è stato minacciato di licenziamento immediato se l'avesse fatto di nuovo. Nel call center di Rende lavoravano cento dipendenti ed era uno dei piu' produttivi di tutta la Calabria. Fino a che il finanziamento della Regione non si è esaurito e a quel punto l'azienda ha deciso di chiudere. Aveva munto la vacca fino a spremere tutto il latte possibile. In cambio aveva creato posti non di lavoro ma di schiavitu' e una volta incassato tutto quello che poteva incassare ha deciso di chiudere baracca e burattini. Insomma hanno truffato tutti, la Regione e i lavoratori. Però ancora qualche soldo potevano arraffarlo subaffittando i locali e i macchinari a un'altra azienda, la Almaviva. Dopo il danno di un lavoro quasi da schiavi, i lavoratori hanno occupato la sede e per fortuna alcuni giornali calabresi, hanno montato una campagna sul loro caso. Hanno vinto. Sono stati riassunti dall'Almaviva. Però alle stesse condizioni con cui lavoravano prima, ciò niente stipendio e nessun diritto sindacale. Anche l'Almaviva incassa oggi il finanziamento della Regione, e i dipendenti già  si chiedono cosa succederà quando sarà esaurito. Il loro caso non è isolato. Denuncia un malcostume che è molto diffuso soprattutto nel profondo sud e contro cui l'Italia dei Valori si batte e sempre piu' si batterà  in futuro. I finanziamenti stanziati per creare occupazione e aumentare lo sviluppo e la ricchezza del Sud vengono adoperati solo per ingrassare le aziende, che quando hanno spremuto tutto se ne vanno lasciandosi alle spalle un deserto. Sarebbe ora che le amministrazioni locali e il governo centrale si mobilitassero per mettere fine a questo scandalo e a questa truffa. Ma la situazione dei lavoratori  progetto non è molto migliore neppure nel nord. Noi dell'Idv non ci stancheremo mai di combattere contro l'idea crudele e cinica che pur di lavorare si debbano accettare condizioni schiavistiche, si debba rinunciare a un regolare stipendio e alla rappresentanza sindacale. Nel nostro Paese il lavoro dovrebbe essere un diritto, non un regalo concesso a chi secondo le aziende se lo merita.

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