mercoledì 1 dicembre 2010

L'olio condannato a morte


di GIOVANNI DELLE DONNE
LECCE - Ormai non ci sono dubbi, hanno condannato a morte l’olio d’oliva. Basta fare un giro per le campagne salentine o nei frantoi per rendersene conto. Ulive lasciate malinconicamente sugli alberi o a marcire per terra.

Produttori - piccoli e grandi - ammutoliti davanti a prezzi da fame: anche la miseria di un euro e dieci al chilo. E come se non bastasse, vincoli da rispettare e multe salate per chi sgarra. Chi viene beccato a raccogliere ulive insieme con un paio di amici in un uliveto di proprietà senza che siano stati dichiarati come lavoranti può ritrovarsi a pagare una multa fino a 16mila euro. Ce n’è abbastanza per abbandonare i campi.

Il prezzo dell’olio salentino precipita inesorabilmente da una decina d’anni anche perchè «strozzato» da una concorrenza sleale che agisce indisturbata. Sugli scaffali dei supermercati di tutta Italia, infatti, si trova olio extravergine imbottigliato da importanti aziende nazionali al prezzo di un euro e novanta a litro. Un prezzo giustificato dal fatto che di extravergine quell’olio avrebbe ben poco.

Infatti, si tratta di olio africano o spagnolo di pessima qualità e di odore sgradevole che viene acquistato a prezzi irrisori, poi trattato con una sostanza chimica in grado di eliminare il cattivo odore. Quest’olio - o cosiddetto tale - viene «allungato» con minime quantità di olio nostrano e spacciato per prodotto nazionale di qualità. Se non è truffa poco ci manca. Anche perchè la sostanza chimica utilizzata per deodorarlo non sarebbe proprio «regolare ».

Lo scandalo è stato portato a conoscenza dell’opinione pubblica alcuni anni fa da un giornalista tedesco che analizzò 32 bottiglie d’olio dimostrando la sua «strana composizione». Per aver svelato i retroscena di questo business, il giornalista venne querelato dall’azienza produttrice e trascinato in tribunale. Dove venne prosciolto, perchè la verità, a volte, trionfa. Il problema è che non è possibile fare controlli a tappeto anche se ora è stato messo a punto un nuovo metodo di indagine facilmente applicabile.

Ma occorre l’autorizzazione dell’Unione europea al cui interno, però, le resistenze sono notevoli. Specialmente da parte della Spagna, grande produttrice di olio lampante. E così, mentre l’olio di pessima qualità conquista il mercato, l’olio nostrano - quello buono - è costretto a fare i conti con un mercato che lo irride: nel 1996 un chilo di olio extravergine veniva pagato al produttore 3,62 euro, l’olio vergine 2,66 euro e quello lampante 2,20. Nella stagione 2008/2009, a distanza di quindici anni, i prezzi erano di 2,27 euro per l’extravergine, 2,04 per il vergine e 1,87 per il lampante. E la discesa continua ancora, inarrestabile.

Quest’anno, poi, come dicevamo, qualcuno si è visto offrire anche un euro e dieci al chilo. Ce n’è abbastanza per pronosticare un nero futuro per quello che era considerato l’oro del Salento. Dopo quella del tabacco, un’altra morte annunciata. E chi potrebbe intevenire sta solo a guardare. Come sempre. IN attesa che il caso esploda definitivamente, con le sue gravi conseguenze sull’economia e sulla cultura salentina. Allora, forse, qualcuno si sveglierà, ma potrebbe essere troppo tardi.
01 Dicembre 2010
Fonte: 
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=386509


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