martedì 28 dicembre 2010

Lecce, la Manifattura Tabacchi chiude e finisce un'Era

di VITO ANTONIO LEUZZI
Con l’annuncio della chiusura della Manifattura Tabacchi di Lecce alla fine di quest’anno, l’ultima in Italia, scompare un segmento significativo dell’identità produttiva regionale - e nazionale - assieme ad una realtà sociale e lavorativa che affonda le sue radici nei decenni pre-unitaria.


Nella storia della lavorazione del tabacco si intrecciano vicende legate all’agricoltura e all’industria, alla campagna e alla città (coltivazione e lavorazione delle foglie e trasformazione in prodotti finiti) e al variegato mondo del lavoro (braccianti, operaie dei magazzini ed infine sigaraie), caratterizzato da una preponderanza femminile.

Con la diffusione nei decenni post-unitari della «spagnoletta» - l’attuale sigaretta, che si affiancò al consumo dei sigari e del trinciato di pipa -, si determinò la necessità dell’ampliamento delle strutture produttive e dei cicli di lavorazione che sempre più si meccanizzarono. Le Manifatture del Tabacco, diffuse in tutto il regno da Torino a Firenze, da Bologna a Napoli, da Venezia a Bari e a Lecce (in tutto più di quindici) assunsero una fisionomia autonoma e costituirono un punto di riferimento del territorio circostante.

L’attenzione dello Stato verso la tabacchicoltura e la competizione europea determinarono anche l’esigenza di destinare a questa produzione, sempre più in espansione ed altamente remunerativa, nuovi edifici, che sostituirono strutture obsolete in gran parte costituite da vecchi conventi. La costruzione a Bari di un moderno edificio nel 1913 in uno dei nuovi quartieri alla periferia ovest, oltre il nucleo centrale del Murattiano, fu uno dei simboli della vita produttiva della capoluogo.

Il nuovo e possente edificio - che contava oltre mille addetti, in gran parte donne - sembrava imporre ordine a una periferia caotica, segnando la storia del quartiere Libertà, il più popoloso della città. A Lecce invece la Manifattura Tabacchi iniziò l’attività produttiva nel 1812, nell’ex convento domenicano di S. Giovanni d’Aymo, dopo la sua acquisizione al demanio regio, in conseguenza delle confische volute da Murat. Ma nel1905 le nuove esigenze produttive portarono alla demolizione di un intero isolato di via S. Maria del Paradiso per far posto ad un nuovo e possente edificio; ma agli inizi degli anni ‘60 gli impianti della Manifattura furono trasferiti in una moderna struttura alla periferia della città.

Ma le Manifatture Tabacchi costituirono anche una presenza «sociale»: sin dagli inizi del ‘900 le tabacchine si presentarono come un voce significativa della classe operaia organizzata. A Bari le sigaraie furono in prima fila nel sostenere il diritto di sciopero e nel dare impulso ala Costituzione della Camera del Lavoro e all’azione politica e sindacale dei ceti popolari guidati da Giuseppe Di Vittorio e Rita Maierotti, una maestra militante socialista, nota per le sue battaglie antimilitariste. D’altronde la crescita esponenziale del consumo di tabacco nel primo dopoguerra aveva provocato non solo un ampliamento considerevole dei terreni coltivati a tabacco - soprattutto nell’a e re a salentina -, ma anche il conseguente aumento del numero delle tabacchine impiegate nei magazzini di manipolazione dei concessionari.

Agli inizi degli anni Trenta nuovi metodi di lavorazione con l’introduzione di macchine cernitici, spianatrici e imballatrici non mancarono di provocare forti tensioni, soprattutto per lo spettro della disoccupazione. Manifestazioni di protesta si registrarono a Campi Salentina, Lizzazello, Monteroni, Galatina, Maglie sino a sfociare in aperta rivolta nel 1935 a Tricase. Qui, all’annuncio della chiusura del Consorzio agrario cooperativo, 400 operaie riuscirono a mobilitarsi e a trascinare nella protesta l’intera comunità, scontrandosi violentemente con la forza pubblica, il cui intervento repressivo provocò cinque vittime (tra cui due donne), e sessanta feriti. Alcuni anni dopo la protesta toccò altri centri del Salento tra cui Gallipoli, Minervino di Lecce, San Pietro in Lama ed alcune località della Grecìa salentina.

La produzione di tabacco a Bari e a Lecce s’intensificò nel corso del secondo conflitto mondiale e nel dopoguerra per le continue richieste del mercato interno e di quello estero. Nel capoluogo pugliese le tabacchine furono protagoniste dei primi scioperi per la conquista delle commissioni interne e per la tutela della salute. Riuscirono, tra l’altro, ad eleggere nel 1946, nelle prime elezioni dell’Italia libera, una loro rappresentante al consiglio comunale, Luigia De Marinis; mentre a Lecce, dopo una intensa stagione di lotte, sotto la guida di Cristina Conchiglia, nota organizzatrice della Cgil, nel 1948 si costituì il sindacato nazionale delle lavoratrici del tabacco. Queste ultime furono protagoniste di battaglie sindacali epocali tra gli anni Cinquanta e Sessanta per la democrazia, per la difesa dei diritti della donna e per il riconoscimento delle malattie professionali.

Uno degli aspetti più drammatici della vita di fabbrica nelle Manifatture veniva denunciato da Ada Del Vecchio, esponente di spicco della sinistra barese negli anni Cinquanta e Sessanta, che descrive in una relazione al parlamento la dura condizione delle operaie addette alla confezione delle sigarette «Alfa», costrette a prestare la loro opera «con un ritmo ed una celerità da sembrare tante macchine». Le sigarette «Alfa», le «Esportazioni » e le «Nazionali» (queste ultime ancora disponibili in alcune tabaccherie), rappresentavano il simbolo dell’Italia degli anni Cinquanta. Nelle nuvole di fumo, che allora scandivano la vita quotidiana delle piazze assolate del Sud e affollate di disoccupati, si celavano le speranze del mondo del lavoro per lenire la disoccupazione e per sconfiggere la miseria. Una storia che in questi giorni scrive la sua parole «fine».
28 Dicembre 2010
 

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