martedì 28 dicembre 2010

Mafie ed economie locali nel Mezzogiorno

28/12/2010
Due tendenze di segno opposto si confrontano oggi nell’economia della Sicilia. Da un lato, vi è il tentativo di reagire alle sfide della globalizzazione e ai costi della crisi, dall’altro c’è, invece, una spinta ad adattarsi seguendo la ‘via bassa’ dell’economia sommersa, ma anche sempre più quella della complicità o dell’alleanza con le organizzazioni criminali. Un elemento che si manifesta nel condizionare quasi il 2,5 per cento del Pil di Sicilia e Calabria, il 3% in Campania.


 
E’ quanto emerge dal “ Rapporto Res 2010, Alleanze nell’ombra. Mafie e economie locali in Sicilia e nel Mezzogiorno.” che traccia una analisi delle infiltrazioni mafiose nell’economia meridionale. Otto i casi analizzati, due per ciascuna delle quattro macroaree considerate: la Sicilia nei suoi due versanti, occidentale e orientale; la Calabria; la Campania. Nello specifico i casi siciliani riguardano: i rapporti tra mafiosi e imprenditori in diversi settori di attività nell’area di Palermo; edilizia, appalti ed energie rinnovabili in provincia di Trapani; la grande distribuzione commerciale nella zona di Catania e il settore dei trasporti nella Sicilia orientale.
Secondo i dati della ricerca vi è un maggiore grado di strutturazione delle cosche mafiose della Sicilia occidentale. I gruppi mafiosi mostrano ancora la prevalenza di un modello organizzativo corporato, che sembra avere la sua massima espressione nella provincia di Trapani. Le mafie, però negli anni, hanno conquistato l’economia legale (per “attività formalmente legali” si intendono quelle apparentemente caratterizzate dalla produzione di beni e servizi legali con metodi legali) attraverso la compartecipazione dei mafiosi.
Sono pochi i contesti dove è emerso un rallentamento delle infiltrazioni, e sembrano circoscritti ad alcune aree della Sicilia Orientale, alla provincia di Cosenza e alle aree extra urbane di Napoli e Salerno. Sulla base dell’indagine, è possibile sostenere che i mafiosi continuano a privilegiare investimenti in settori «protetti», ossia legati a forme di regolazione pubblica, caratterizzati da concorrenza ridotta e, spesso, da situazioni di rendita. La penetrazione nell’economia formalmente legale appare più evidente nelle aree e nei contesti dove più elevato è il cosiddetto power syndicate, dove, in altre parole, è più forte il radicamento e il controllo del territorio delle organizzazioni mafiose. Vi sono quindi fattori di contesto che influiscono sulle possibilità di inserimento delle organizzazioni criminali nelle economie formalmente legali e costituiscono diversi tipi di rapporti. Le relazioni tra le diverse componenti dell’area grigia e i mafiosi sono “a geometria variabile”. Complici, soci, affiliati spesso possono cambiare ruolo e identificarsi l’uno nell’altro. I complici sono gli imprenditori che stabiliscono con il mafioso un rapporto «strumentale»: si tratta per lo più di imprese relativamente «forti» dal punto di vista delle capacità finanziarie e della dotazione tecnica.
Spesso sono imprese esterne al contesto locale: rientrano infatti in questa categoria le grandi imprese nazionali che operano nel campo delle infrastrutture e dei lavori pubblici. In virtù della loro capacità di mercato e del possesso di risorse radicate all’esterno si trovano nella condizione di poter negoziare con i mafiosi termini e condizioni del «contratto» di protezione. In genere questi imprenditori accettano preventivamente di collaborare con i mafiosi, facendo una valutazione utilitaristica del contesto ambientale in cui svolgono la loro attività, rendendosi conto che la cooperazione può promuovere i loro interessi economici.
Anche i mafiosi ritengono conveniente stringere un accordo con queste imprese, in quanto esse hanno appunto le risorse e i mezzi necessari per partecipare a determinati lavori. Casi di questo tipo riguardano, oltre che il settore degli appalti pubblici, anche le energie rinnovabili (ad esempio, l’eolico in provincia di Trapani) ma anche nella grande distribuzione commerciale (in provincia di Palermo, Trapani e Catania). Gli imprenditori compiono queste scelte motivandole con il fatto che, per poter operare in quei contesti, è necessario scendere a patti con la mafia, poiché l’alternativa sarebbe rinunciare all’attivitàstessa.
La seconda situazione individua invece espliciti rapporti di collusione con i mafiosi. Si parla di imprenditori che stabiliscono con i mafiosi un rapporto stabile e continuativo. Un importante settore di interesse negli ultimi anni riguarda ancora la grande distribuzione commerciale. In questo caso gli accordi collusivi assumono quasi carattere sistemico: dalla individuazione dei terreni alla realizzazione delle opere di edilizia, per giungere fino all’organizzazione commerciale vera e propria, attraverso il controllo delle forniture e della manodopera da impiegare.
Sono molto diffusi i casi di imprenditori che, in un primo tempo, subiscono le imposizioni dei mafiosi (pagando il “pizzo”), e poi «migliorano» la loro situazione sperimentando patti di complicità con i mafiosi (quindi accordi di tipo strumentale), per stringere alla fine un’alleanza più stretta. Spesso l’ultimo passaggio – quello che sancisce per così dire il legame di collusione – coincide con un salto di qualità della carriera imprenditoriale. In altri termini, gli imprenditori collusi sono imprenditori «di successo». Carriere imprenditoriali di questo tipo, oltre che nel già citato settore della grande distribuzione (nella ricerca è stato ricostruito un caso nell’area di Catania), sono ravvisabili anche nel settore della sanità. L’ultima situazione – quella della compenetrazione – riguarda i casi in cui si tendono a instaurare con i mafiosi relazioni personali di fedeltà, ovvero legami più stretti in grado di offrire condizioni di gran lunga più favorevoli. Un aspetto di particolare rilievo messo in evidenza dall’indagine è che il capitale sociale della mafia rappresenta una risorsa appropriabile anche da altri attori.
In sistemi economici che diventano sempre più «relazionali», e che risultano sempre più caratterizzati da una moltiplicazione delle relazioni contrattuali, questo tipo di risorse e di competenze diventano strategiche. Le funzioni di intermediazione, tradizionalmente svolte dai mafiosi, vengono per così dire rinvigorite e condivise da altri attori. Il caso dell’eolico porta a sottolineare un altro risultato della ricerca: i mafiosi non occupano sempre e necessariamente i ruoli più centrali dei network in cui sono inseriti. Al contrario, all’interno di queste reti si crea continuamente una combinazione di cooperazione e competizione che richiama l’ordinaria realtà di molti ambiti di attività economica legale.
L’ indagine mostra che si consolida un modello di “fare economia” che funziona secondo regole diverse da quelle di mercato e da quelle formali – legali. Un modello che diventa riconosciuto dagli operatori economici, condiviso a livello sociale e che richiede di accettare, pena l’esclusione, logiche di adattamento, di accordo e di connivenza.
Ciò risulta vero soprattutto nei settori dell’edilizia e degli appalti, ma anche in settori nuovi come l’eolico.
Laura Galesi
PRESENZA E INTENSITÀ DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA NELLE PROVINCE ITALIANE
Per misurare presenza e intensità del power syndicate si è fatto riferimento ai seguenti dati, opportunamente elaborati in specifici indici: associazioni di tipo mafioso, numero di beni confiscati, scioglimenti dei consigli comunali, omicidi per mafia, estorsioni. Per quanto riguarda invece l’enterprise syndicate sono stati presi in considerazione: associazione a delinquere, produzione e traffico di stupefacenti, rapine, usura, sfruttamento della prostituzione.
Si tratta precisamente di tutte le province della Sicilia Occidentale (Palermo, Trapani, Agrigento, Caltanissetta), a cui si aggiungono quelle di Catania e Messina; delle province della Calabria, eccezion fatta per quella di Cosenza; infine, in Campania, delle province di Napoli, Caserta e Salerno.


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